Elogio del cavolo (e dei suoi fratelli)

Quando la carne sintetica non si profilava ancora all’orizzonte, il cavolo e i suoi fratelli (e sorelle) hanno ben supplito all’alimentazione popolare quotidiana. Cavolo, cavolfiore, cappuccio e verza: ortaggi contadini, tra i pochi coltivati nei duri mesi invernali, sono stati per tanto tempo in Romagna (e non solo) uno dei piatti di base per generazioni di contadini e di operai. 

Malgrado un suo invidiabile pedigree storico e nutritivo, che rivedremo per sommi capi, il cavolo ha patito le invettive dei “parvenu” proprio per essere cibo caratteristico di mense frugali. Certo, durante la cottura il cavolo emana un odore sgradevole, vapori passeggeri: ma al giorno d’oggi capita di sentire discorsi ben più puzzolenti. Molto più interessante, invece, l’antico modo di dire che si raccontava ai fanciulli, “i bambini nascono sotto i cavoli”: forse perché il cavolo, se ci pensate con attenzione, ha la forma dell’utero materno e larghe foglie protettive. 

Pedigree storico: Plinio, nella sua Storia Naturale di duemila anni fa, elogiava il cavolo quale cibo salutare che permetteva ai Romani di non ricorrere ai medici. Nel Medioevo il cavolo è uno dei protagonisti letterari della “guerra” tra Carnevale e Quaresima. In uno di questi testi è proprio Capitan Cavolo, alla guida di un esercito di erbe, biete, spinaci, porri e cipolle, ad espugnare il castello del Signor Carnascial, difeso da salumi e zamponi (il carnevale è da tempo sul viale del tramonto: ma soltanto perché è venuta meno la Quaresima, quella canonica). 

Infine, le virtù semplici ma gustose del cavolo non sono  sfuggite a Pellegrino Artusi che nel suo storico trattato gastronomico riserva a cavoli e compagnia bella svariate ricette, senza dimenticare i famosi “sauer kraut” tedeschi, di cui propone una versione all’italiana: gran contorno per cotechini e zamponi, bel mangiare d’inverno.

ll Passator Cortese

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