“Fermentazione in bottiglia sempre, la parola autoclave mi dà fastidio”

CASTELVETRO (Modena) – Vittorio Graziano è appena tornato dal Giappone, Paese in cui è apprezzato il suo vino, e nella sua voce si avverte la stanchezza dovuta fuso orario. Castelvetro è noto per le sue dolci colline che si tingono di rosso in autunno per via dell’alta densità di Grasparossa, il vitigno di lambrusco che è predominate in quella zona.

Graziano (il cognome), ha iniziato a vinificare nel 1982 e alla base del suo lavoro ha sempre anteposto la ricerca di antichi vitigni e una vinificazione che rispettasse la tradizione. “La sola parola autoclave mi fa rabbrividire – ironizza Graziano – perché la fermentazione in bottiglia è quella a cui è legata la maestria e la professionalità di vitivinicoltori”. 

In azienda sono sette le ‘etichette’ che produce: ovviamente il Grasparossa, ma anche un bianco frizzante ottenuto da un uvaggio di cinque vitigni: “Si tratta di due cultivar trebbiano ed altri tre vitigni autoctoni che nessuno sa cosa siano: ho recuperato e riprodotto della piante vecchissime che risalgono a 60 anni fa, salvando ciò che praticamente si stava perdendo” racconta. 

Sperimentazione e tradizione convivono nella stessa cantina perché Graziano è stato uno di primi vignaioli che ha recuperato la varietà Malbo Gentile, grazie all’aiuto di un produttore che aveva conservato alcuni piedi di vite. “Un tempo era chiamato ‘Amabile di Gevova’ – spiega – da cui produco un rosso fermo aggiungendo la varietà ‘termarina’, e altri quattro vitigni sconosciuti, anche questi recuperati e moltiplicati da me”. 

Vittorio Graziano recupera vitigni dimenticati – e sconosciuti – e dopo 42 vendemmie è definito ‘rock star del vino naturale’

Nel suo ‘carnè’ anche un rosato ottenuto da quattro vitigni: “Ne conosco tre su quattro – afferma – cioè l’Uva Tosca a cui aggiungo tracce di Sorbara, e un po’ di Lambruscone, mentre la quarta uva l’ho recuperata ma è sconosciuta”.

Una vinificazione particolare la esegue con il Trebbiano modenese che produce con un metodo abbandonato da tempo. “È il trebbiano ‘murato’ – precisa Graziano – ottenuto con due mesi di macerazione. Si chiama così perché quando si forma il ‘cappello’ a seguito della fermentazione lo si copre con il gesso il cui ph è acido e compatibile con le vinacce”. Per il resto la fermentazione avviene rigorosamente in bottiglia, ovviamente per quel che riguarda le bollicine perché, ribadisce Graziano, “la parola autoclave mi dà fastidio! All’inizio facevo la sboccatura, ma adesso molti appassionati vogliono il vino integrale, con il ’fondo’.“Qualche cliente me lo chiede sboccato, soprattutto consumatori locali, mentre all’estero preferiscono sempre più la bottiglia a fermentazione naturale. È una contraddizione perché la fermentazione classica da noi ha una tradizione di quattro secoli: purtroppo è una sconfitta del lavoro degli agricoltori”. Con cinque ettari di vigneto ottiene attorno alle 25mila bottiglie: “Una bottiglia per pianta – sottolinea – perché l’investimento colturale è di 6.000 viti per ettaro, ovvero poco più di un chilogrammo di uva ciascun piede”. 

Graziano vende in 28 Paesi del mondo ma è ben conosciuto anche in Italia, in aree vocate come la Toscana, il Piemonte, il Veneto e dice di non occuparsi molto della vendita on-line, ma ha numerose richieste spontanee. “Continuo a sperimentare – termina Graziano, che è descritto nell’articolato modo della enologia ‘vignaiolo rock star del vino naturale’ e ‘padre dei rifermentati italiani’ – sto lavorando su uno spumante metodo classico. Degusteremo”.

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