Erika Angelini
L’Italia è in grado di produrre oltre 20 milioni di tonnellate di ortofrutta all’anno, un patrimonio produttivo e varietale davvero essenziale per il nostro Made in Italy, che negli ultimi anni ha però attraversato notevoli difficoltà a causa dei cambiamenti climatici e dei problemi di mercato. Complice di questa crisi anche un calo dei consumi che negli ultimi due anni è arrivato a -14%. In occasione di Macfrut di Rimini, l’evento fieristico italiano completamente dedicato al comparto ortofrutticolo, abbiamo fatto il punto sull’andamento delle principali produzioni frutticole con Elisa Macchi, direttrice di Cso Italy.
“L’ortofrutta italiana ha un ruolo essenziale nel panorama europeo, ma negli ultimi anni ha patito fortemente i cambiamenti climatici che hanno provocato cali produttivi generalizzati, la mancanza di reddito per i produttori e il calo delle superfici per molte colture frutticole. In questo contesto il nostro Paese si è trovato a subire la forte concorrenza dei competitor fuori e dentro l’Unione Europea, dove i costi di produzione, soprattutto della manodopera, sono certamente più favorevoli.
Facendo un excursus tra le principali colture frutticole, la mela è sicuramente uno dei pochi prodotti in crescita con produzioni sono costanti, sui 2milioni di tonnellate, che fanno dell’Italia il primo produttore europeo sul mercato fresco.
La mela è un prodotto sul quale si è fatta molta innovazione varietale, anche in base ai gusti dei consumatori e viene esportato in 80 paesi del mondo.
Una situazione molto diversa – continua Macchi – è quella della pera, che riguarda soprattutto l’Emilia Romagna dove veniva coltivato il 70% a livello nazionale. Negli ultimi 4 o 5 anni i problemi sono stati moltissimi: l’invasione della cimice asiatica nel 2019 e poi la maculatura e le gelate. L’anno scorso proprio a causa delle gelate tardive siamo passati da una media produttiva di 700mila tonnellate ad appena 150mila (-70%), con gli agricoltori che naturalmente lavorano in perdita.
Elisa Macchi, direttrice di Cso Italy, spiega quali sono le tendenze produttive e di consumo
Produrre un ettaro di Abate, infatti, ha un costo di circa 20mila euro a ettaro e nel 2023, considerando la mancanza di produzione, gli agricoltori hanno perso in media 13mila euro a ettaro. In queste condizioni non stupisce che ci siano gli estirpi e che le superfici siano passate in pochi anni da 20mila ai 13mila ettari dell’anno scorso e che, in base alle prime stime del 2024, ci sarà un ulteriore calo di duemila ettari. Il rischio per la pera, dunque, è che in zone vocate come il ferrarese dove la frutticoltura era sostanzialmente rappresentata dalla pera, si perda la vocazione frutticola del territorio.
Il mercato della pera, inoltre, è sicuramente messo in difficoltà da competitor come Belgio e Olanda che producono circa 400mila tonnellate di pere, soprattutto Conference, ciascuno, con meno problemi climatici e di fitopatologie.
Un’altra produzione frutticola che ha visto considerevoli cali di superficie in Emilia Romagna è la fragola che oggi viene sostanzialmente prodotta in Basilicata e Campania, dove arriviamo a mille ettari di superficie ciascuna. Nella nostra regione siamo sui 300 ettari perché, anche se c’è stato un investimento varietale interessante, ci siamo sempre focalizzati nel pieno campo, che però è diventato troppo rischioso per via dei cambiamenti del clima e non più allettante per i frutticoltori. Al Sud la fragola è quasi esclusivamente in coltura protetta, quindi si riesce a produrre meglio e a rimanere sul mercato per molto tempo.
Una cosa positiva della frutticoltura regionale, invece, arriva dalle pesche nettarine che negli ultimi anni hanno attraversato notevoli difficoltà a causa della concorrenza della Spagna e dei problemi fitosanitari e che ora, invece, vedono una sostanziale stabilità di superfici. Ultimamente poi sono state introdotte anche varietà più tardive che consentono di rimanere sul mercato più a lungo, e con l’Igp c’è anche una caratterizzazione regionale che è molto importante a livello promozionale.
In Emilia Romagna anche l’albicocca tiene, grazie all’introduzione di varietà più tardive che hanno allungato il periodo di permanenza sul mercato per tutta l’estate, un fattore molto importante per tutta la frutta che viene connotata come estiva e che il consumatore si aspetta di trovare sul mercato.
In un discorso generale sulla frutta prodotta in regione – continua la direttrice di CSO Italy – non può mancare il kiwi, visto che in Emilia Romagna si produce circa il 20% del prodotto italiano. Qui occorre fare un distinguo tra il verde che sta calando di anno in anno per via della moria e il giallo che vede un aumento sia delle superfici sia dei consumi, anche perché si tratta di una varietà che non è toccata dalla moria del kiwi.
Un altro comparto che vede un aumento dei consumi, anche se naturalmente parliamo ancora di nicchie di mercato, è quello dei piccoli frutti che sono stati, a mio avviso, promossi molto bene ai consumatori per le loro caratteristiche nutraceutiche e salutiste, piacciono ai giovani e sono comodi da consumare, dei veri e propri “snack” che fanno bene.
In chiusura ci tengo a precisare che uno dei problemi della nostra frutticoltura è certamente la competizione estera, che riguarda in maniera trasversale tutte le produzioni frutticole. In Italia i costi di produzione sono elevati e tra questi il costo della manodopera è certamente la voce di spesa più pesante. Inoltre, siamo molto più attenti alla sostenibilità, anche perché abbiamo molte Dop, Igp e colture di eccellenza che prevedono specifici disciplinari produttivi che altri paesi non hanno. Se vogliamo pensare a un rilancio del comparto dobbiamo lavorare proprio su regole di mercato uguali per tutti: deve esserci la reciprocità tra i prodotti che escono dal nostro Paese con certe caratteristiche di salubrità e quelli che entrano, anche a tutela dei consumatori”.