Claudio Ferri, direttore Agrimpresa
Chiedete alla proverbiale ‘signora Maria’ quali sono i polli allevati a terra: vi risponderà, senza ombra di dubbio, che sono quelli che ‘razzolano’ in campagna, liberi e felici. La pensa allo stesso modo la maggioranza dei consumatori, d’altra parte la definizione, apparentemente, è descrittiva. Molti non sanno, però, che questa è una terminologia tecnica – commerciale e che non corrisponde esattamente a ciò che immaginano. Il passaggio da una società basata prevalentemente su attività agricole ad una realtà più industrializzata ha creato un disorientamento semantico e la parola ‘terra’, come nel caso dell’allevamento, richiama ad una situazione bucolica in cui cresce e viene allevato un pollo o una gallina ovaiola. Gli addetti ai lavori lo sanno bene che non è così, ma si sono dovuti adeguare ad una richiesta pressante della Grande distribuzione, a sua volta condizionata da un consumatore che cerca sostenibilità e un approccio etico degli allevamenti. Tutto ciò ha portato ad una forte ristrutturazione del settore avicolo, in parte dettato anche dalle nuove regole europee sul benessere animale, che hanno man mano avviato un processo di riconversione degli allevamenti, sempre più ‘a terra’ e meno in batteria. Attenzione però, a terra, per l’allevatore non significa sull’erba e in un campo, ma in uno stabilimento, magari su più piani, in cui i polli sono sì liberi, ma su una pavimentazione cementata. Sempre nel rispetto delle normative vigenti.
C’è stato anche l’adeguamento degli spazi vitali minimi per gli animali allevati in batteria, che sono aumentati. È opinione di molti allevatori che creano meno problemi, dal punto di vista sanitario, le batterie adeguate alle nuove norme che le linee ‘a terra’. Non entro nel dettaglio tecnico di questa valutazione, ma è doveroso riportare sinteticamente le tipologie degli allevamenti: per quel che riguarda le strutture da ovaiole, si fa distinzione tra uova provenienti da allevamento biologico (l’uovo riporta l’indicazione 0 (zero), da allevamento all’aperto (il codice è 1), da allevamento a terra (2) e da allevamento in gabbia (con codice 3).
Ecco quindi, gli esemplari che stanno, nel vero senso della parola, a terra sono quelli ascrivibili al codice 0 e 1. Nell’allevamento bio le galline devono disporre di un’ampia zona di pascolo e di stagni, un pollaio e devono essere presenti anche dei galli. Le galline con codice 1 devono avere a disposizione un ricovero coperto e un’area di pascolo. Per ogni ettaro all’aperto è stabilito un numero massimo di polli. In questo caso non vi sono vincoli circa la tipologia di mangimi. Il termine “allevamento a terra”, quindi codice 2, indica che le galline sono in grandi capannoni dove vivono e depongono le uova in nidi comuni. Infine c’è l’allevamento in gabbia o batteria (codice 3), l’allevamento più intensivo. Era una precisazione dovuta, soprattutto a beneficio dei consumatori la cui richiesta si concentra su soggetti allevati a terra e che i supermercati, a loro volta, esigono dai produttori, tenuti a rincorrere sfumature lessicali, ma che nella sostanza impegnano economicamente. Eccome.