Perdonate l’amara ironia, antidoto civile in questi tempi difficili che sono di passaggio da un’epoca ad un’altra e che noi stiamo vivendo come cronaca. Mutamenti climatici, siccità compresa, sono tra di noi, nel quotidiano, non solo e non più nei reportage delle tv su paesi lontani. È più che mai tempo di scelte radicali. Ma, per favore, stiamo attenti anche alle parole spesso usate come specchietti per allodole, cioè in modo ingannevole.
La parola “radicale” viene dal latino “radix”, cioè radice, elemento essenziale e vitale per la vita dell’ambiente. In politica, invece, la parola “radical” viene da un calco inglese e assume significati diversi. Facciamo, per capirci meglio in questi nostri anni smemorati, un esempio concreto di casa nostra: l’ultima grande opera pubblica della Romagna, l’Acquedotto di Romagna (più conosciuto come diga di Ridracoli, Appennino forlivese), cassaforte indispensabile per il rifornimento di buona acqua potabile dell’area romagnola.
Una bella storia nata più di cinquant’anni fa dalla determinazione e dal coraggio dei sindaci e parlamentari romagnoli lungimiranti, che guardavano non alla prossima tornata elettorale di turno, ma un po’ più lontano: pensando al fabbisogno delle generazioni future. Eppure quella grande opera pubblica, oggi attiva, rassicurante e apprezzata, fu inizialmente contestata, e duramente, durante il suo attuarsi, una quarantina d’anni fa. Da chi? Da altre forze politiche? No: da estremisti del variegato mondo ambientalista e “verde” (non se ne abbiano a male gli amici ambientalisti: in ogni compagine non mancano mai le Cassandre e i cacciatori di visibilità, la loro) che paventarono disastri ambientali.
È successo il contrario, a beneficio della comunità e dell’ambiente. Quella fu un’opera radicale, nel senso di buone radici, concreta, non radicaleggiante e parolaia: i fiumi di parole sanno dirle in molti.
Il Passator Cortese