Rinnovo impianti e diversificazione colturale leve per il rilancio del kiwi

Giorgia Gianni
FAENZA – Rinnovare gli impianti per qualificare la produzione e competere sui mercati internazionali è la sfida che si pone oggi di fronte alla kiwicoltura romagnola.
Dopo essere esplosa a cavallo degli anni ‘80-’90, la coltivazione dell’actinidia si trova infatti a fare i conti con impianti in gran parte in fase senescente, che rischiano di non poter più garantire gli standard di qualità richiesti, dal calibro alla quantità di sostanza secca. In Emilia Romagna il territorio ravennate pesa per quasi l’80% della produzione di kiwi, con un raccolto superiore alle 53 mila tonnellate, e per gli imprenditori agricoli è arrivato il momento di investire in nuovi impianti.
Lo evidenzia anche Raffaele Drei, presidente del Centro ricerche produzioni vegetali di Cesena e della cooperativa agricola Agrintesa (Faenza). “In Romagna è necessario ragionare sul rinnovo degli impianti, la cui età media è abbastanza avanzata. Si tratta di una sfida strategica per qualificare la produzione e poter competere su mercati dove la concorrenza è sempre più intensa, basti pensare a un competitor agguerrito come la Grecia”.
Le parole chiave sono qualità e diversificazione. “Dobbiamo diversificare ad esempio introducendo il biologico, o coltivando kiwi “a residuo zero” dove è possibile applicare questo disciplinare. Per elevare la qualità del kiwi tradizionale e a produzione integrata occorre una maggiore attenzione a parametri come il calibro e come la quantità più elevata di sostanza secca. Qualificazione agronomica, raccolta e conservazione sono i passaggi chiave se vogliamo diventare più competitivi”.
In media, per un coltivatore il rinnovo degli impianti di actinidia richiede un investimento di circa 35 mila euro, più altri 15 mila per le reti. “La Romagna è una zona vocata – ricorda Drei -, si tratta di investimenti sostenibili in rapporto alle quotazioni realizzate in questi anni, in cui abbiamo avuto un quadro produttivo inferiore al potenziale”.
Stanno riscuotendo crescente interesse sul mercato anche le varietà a polpa gialla, mentre a giudizio del presidente del Crpv occorre ancora cautela nell’introduzione della varietà rossa. “C’è fortissimo interesse da parte del mercato e dei produttori per il kiwi a polpa rossa, ma bisogna usare prudenza perché ne sono ancora poco noti i comportamenti agronomici. Siamo in una fase post-sperimentale, i numeri sono ancora piccoli”. Dal punto di vista fitosanitario, la batteriosi è diventata una patologia con cui gli agricoltori hanno imparato a convivere. “C’è qualche caso più grave, ma non temiamo più un colpo mortale come si pensava anni fa.
Ciò che rappresenta un grosso problema è invece la cimice asiatica: gli strumenti di difesa sono modesti e possono generare problemi in fase di commercializzazione.
Alcuni prodotti chimici non sono infatti ammessi in taluni Paesi, altre sostanze ammesse all’estero non sono utilizzabili in Italia. La cimice è un problema soprattutto nel nostro Paese e non trova sensibilità a livello internazionale. Ma non possiamo permetterci di non esportare: l’80% dei nostri raccolti trova mercato all’estero”.