Su collina e montagna incombono poca acqua, frane e cinghiali

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Lucia Betti

Riolo Terme (Ravenna) – L’Azienda agricola Vignoli si trova in collina tra Riolo Terme (Ra) e Imola (Bo) a circa 200 metri sul livello del mare. La sua collocazione è emblematica: si trova in mezzo a due Consorzi Irrigui (Rondinella e Isola), ma non vi ha accesso a causa del dislivello per far arrivare l’acqua fino all’azienda e non dispone di laghi aziendali.

Per migliorare la resilienza idrica delle proprie colture, l’Azienda sta ricorrendo a tecniche agronomiche. “Con il sovescio con semplice favino abbiamo già visto un miglioramento rispetto a dove non lo abbiamo fatto – spiega Glenda Vignoli – e con le concimazioni fogliari riusciamo ad apportare quei microelementi che rimangono non disponibili nel terreno asciutto”.

L’Azienda ha un’estensione intorno a 24 ettari di cui 8,5 a vigneto, 2 ad albicocco, 1,5 ad uliveto, 1 ettaro a grano duro, 0,5 a tartufaia, 0,3 a Scalogno di Romagna Igp, una parte è dedicata ad orto per l’agriturismo e la restante parte bosco e calanchi.
In merito alle problematiche che sta riscontrando sulle colture, Glenda Vignoli ci dice che, con un inverno che ha alternato periodi freddi e umidi a settimane calde e siccitose, le coltivazioni sono un po’ tutte disorientate: “Il grano ha avuto una pessima germinazione poiché il terreno al momento della semina era molto asciutto; la fioritura degli albicocchi è stata precoce e disomogenea come succede ormai da qualche anno e anche il risveglio vegetativo delle viti procede a grandi passi con tutti i rischi che ne conseguono”.

Il susseguirsi di stagioni poco o per nulla piovose, calde e ricche di giornate ventose hanno portato ad asciugare il terreno in profondità e la Vignoli specifica: “il risveglio vegetativo parte già con un deficit idrico non indifferente soprattutto se la primavera proseguirà con scarse precipitazioni o troppo localizzate”. La Vignoli sottolinea anche che questo è un problema trasversale a tutte le colture e rende, ad esempio, più complicato produrre le verdure per l’uso interno dell’agriturismo.

Ci spostiamo in Valmarecchia (Rn), dove l’acqua sta assumendo caratteri ambivalenti. L’inverno 2022-2023 in questa zona ha riportato, dopo diversi anni di assenza, ritmi ordinari nei tempi del lavoro agricolo con due mesi di fermo delle operazioni nei campi. Fra gennaio e febbraio è caduta tanta neve (fino a due metri in gennaio), è rimasta fra una nevicata e l’altra e si è sciolta lentamente.
Ora ci sono problematiche legate alle frane. Inoltre, il terreno morbido è perfetto per “il lavoro” dei cinghiali che creano danni alle coltivazioni addirittura maggiori. Servirebbero sicuramente piccoli invasi per chi ha le stalle, spiega Matteo Cesarini, dell’omonima azienda e presidente del consiglio territoriale di Cia Novafeltria, ma l’approvvigionamento idrico non è la questione principale qui, dove la vocazione agricola non è per frutteti o colture da seme.
Dalle parole di Cesarini, 37enne che da sempre lavora nell’azienda familiare, alla quarta generazione, e da circa 15 è titolare e la conduce con il padre e lo zio, si percepisce scoramento: quello di chi in questi luoghi ha investito tutto per il proprio progetto di vita e di lavoro, agricolo, e ora con problemi che si aggiungono a problemi, non sa più cosa inventare. Anche leggi e burocrazia sembrano fatte per ostacolare il lavoro più che per sostenerlo e contenere, quindi, lo spopolamento di queste aree.

Come detto in maniera tanto cruda, quanto efficace, da Matteo Cesarini, “la questione dell’approvvigionamento idrico in questa zona si risolverà da sola perché le stalle, ne saranno rimaste una decina, vanno scomparendo così sparirà anche il problema”. L’azienda di Cesarini è a Pennabilli, dislocata per metà in Emilia Romagna, dove ha sede legale, e per metà in Toscana: circa 95 ettari di Sau a seminativi dove trovano dimora 8-10 ettari di grano tenero, poi per la restante parte foraggio, lupinella, erba medica. Da un paio d’anni la grande questione è un’altra ancora: le aziende non riescono a vendere un cereale.
Matteo Cesarini mette in evidenza, infatti, che a fronte delle continue notizie che passano nei mass media sulla carenza di grano, lui, come altri, il grano ce l’ha e non riesce a venderlo. In alcuni casi lo ha venduto a costi inferiori a quelli di produzione che si aggirano intorno a 36 euro al kg, ma ultimamente non si vende.

“Ho 400 quintali di grano tenero bio in casa. I media dicono che manca il grano. Le industrie nemmeno rispondono alle nostre proposte di vendita”.

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