Un’agricoltura “eroica” sulle colline piacentine

Valentina Milioto

Giuseppe Romagnoli

Dove c’era il petrolio ora crescono patate e zafferano

Montechino (Piacenza) – C’è una piccola frazione sulle colline del piacentino dove fino al 1930 si svolse una corsa all’oro; attenzione, non quello “biondo” della California, non quello “rosso” (più noto come pomodoro che più oro non è, considerato i costi produttivi per gli agricoltori..) ma un “oro nero” ovvero il petrolio.Nella piccola comunità di Montechino, frazione di Gropparello, dove sopra uno strapiombo sorge un magnifico castello costruito in pietra con base rettangolare e torrioni quadrati, infatti già a partire dall’inizio del 1800 venne segnalata la presenza di petrolio. Nel 1866 furono effettuate le prime trivellazioni in Italia per l’estrazione di petrolio, ma risultati positivi si ottennero solamente attorno al 1890 con Leone Marchand, poi nel 1906 con la Società Petroli d’Italia, fondata dal piacentino Luigi Scotti; nel 1910 nella sola Val Riglio ne furono estratti dieci milioni di chili.

MontechinoIl territorio compreso tra la Val Riglio e la Val Chero era infatti ricco di petrolio e gas naturale. Vennero perforati nei due cantieri di Montechino e Gratera 349 pozzi: un petrolio eccezionale in merito a purezza e a densità. Così quest’area si popolò di “Derrik” (torri di legno a piramide tronca che indicano i pozzi trivellati) e fu costruita una raffineria a Fiorenzuola alla quale il petrolio estratto a Montechino arrivava inizialmente con carri cisterna – botticelle – a trazione animale; in seguito si costruì un oleodotto lungo 29 km. La ricerca petrolifera venne del tutto abbandonata agli inizi degli anni ‘50, poiché il petrolio piacentino non riuscì ad essere competitivo per gli onerosi costi di estrazione.
Così al rumore delle trivelle subentrò il silenzio, la gente, come del resto in quasi tutto l’Appennino, abbandonò le frazioni ed il bosco si riprese i suoi spazi, compreso quello dei campi coltivati. E senza gli imprenditori agricoli, senza stalle, senza chi cura i campi, il territorio è diventato un “deserto verde”, dove vivono indisturbati cinghiali, istrici, lupi e, ultimi arrivati, i caprioli.

Così chi decide di tornare alla terra in questi posti ha sicuramente molta temerarietà, molto coraggio e tanto, tanto amore per questo lavoro, ripagato dal poter vivere in libertà, essere padrone di se stesso, affrontare delle sfide. È questo che deve avere pensato (e valutato) Valentina Milioto, originaria della Brianza che, dopo avere lavorato in due bar, prima a S. Giorgio poi a Gropparello, ha deciso di “tagliare completamente i ponti” con i luoghi abitati ed è andata a vivere, con il compagno Maurizio (che esercita tutt’altro mestiere), a Montechino.

zafferano di ValentinaQui ha iniziato, in società con Tiziana (che l’aiuta quando ha un po’ di tempo libero), a coltivare di nuovo i campi, prima i pochi in proprietà, poi i molti in affitto, terra libera perché tanto in quelle zone non c’è più nessuno a coltivarla. Così si è partiti con frumento e patate e poi, man mano che gli ettari aumentavano (oggi sono 50), con altre coltivazioni, come per esempio il lino che viene conferito a S. Protaso per ricavarne olio. E soprattutto Valentina ha piantato zafferano, coltivazione estremamente redditizia, ma com’è noto,complessa, faticosa e delicatissima. Tutto il diserbo va effettuato a mano, la raccolta si fa da ottobre a novembre, al mattino presto, quando il fiore non è ancora schiuso, si puliscono delicatamente e quindi si fanno essiccare. I bulbi, molto costosi, provengono dall’Olanda.

“Nel frattempo – ci spiega Valentina – bisogna provvedere ai lavori nei restanti terreni; certo oggi ci sono i trattori ed altri macchinari, ma è un “combattimento” continuo per tenerli puliti, recintati (almeno una piccola parte) per allontanare i cinghiali, i caprioli; i risarcimenti dalla Provincia per i danni arrivano sempre tardi, quando arrivano…perchè le pratiche sono capziose quanto un rogito notarile!”

L’azienda di Valentina Milioto è certificata biologica, “ma bisogna essere contenti quando si coprono le spese ed è necessario che questa attività sia complementare ad altre entrate familiari. Per questo la molla fondamentale per andare avanti è la passione, il poter vivere nella natura, anche se mancano le infrastrutture più elementari, perché le strade nelle frazioni sono quelle che sono ed il dissesto idrogeologico dà una buona mano a rendere difficili gli accessi. E si lavora con pendenze significative e le rese non sono certo quelle della pianura”.
Ma Valentina che fa parte dell’associazione “Donne in campo” della Cia non demorde e si tiene qualche “sogno” nel cassetto come un agriturismo e spera che Montechino torni a popolarsi ancora come quando c’era il petrolio…

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