Claudio Ferri
MODENA – Si chiama “Custodi del Lambrusco” è un’associazione da poco costituita presentata a Modena nelle scorse settimane. Associa 26 produttori vitivinicoli, anche se complessivamente esprimono circa 4 milioni di bottiglie di rosso frizzante. Di fatto sono fuoriusciti dal Consorzio del Lambrusco e il loro asset statutario non prevede la doppia adesione, come non contempla l’adesione di cantine cooperative o aziende di grandi dimensioni.
Com’è nata questa formazione che di fatto si pone in polemica con i Consorzio del Lambrusco da cui siete usciti?
È nata per necessità. Abbiamo scelto di uscire dal Consorzio del Lambrusco per cercare di migliorare alcuni aspetti, e vuole essere un segnale, perché c’era bisogno comunque di mantenere unito il territorio nel segno della qualità che esprimono i piccoli produttori, ma non solo, è una situazione trasversale che mira a valorizzare la filiera, quindi dai produttori di uva a vinificatori a imbottigliatori. Ci sono aziende storiche anche di dimensioni molto grandi, oltre che piccoline e questo è il bello della sinergia che abbiamo voluto creare per dare più valore al territorio.
Avete elencato in 8 punti la vostra idea di Lambrusco, di come valorizzarlo
Sì, è il nostro vademecum. Il nostro statuto è abbastanza semplice, leggero, proprio perché abbiamo necessità che non ci siano troppe barriere. Fare da custodi al nostro passato, alla nostra cultura del Lambrusco che è millenaria per dare un migliore futuro ai nostri figli e a chi verrà dopo di noi.
Quando accusate il Consorzio di non aver tutelato le vostre realtà produttive, cosa contestate sostanzialmente, quello che non è stato fatto o che si doveva fare di più?
Non è che contestiamo il Consorzio, con il quale vogliamo andare d’accordo e mantenere un dialogo. Ne facciamo ancora parte, anche se non ci siamo, perché producendo Lambrusco siamo collegati direttamente con il Consorzio. Diciamo che sicuramente nell’ultimo periodo non ha dato i supporti necessari che ci aspettavamo come piccole aziende. È mancato un dialogo e questo ha fatto sì che alcune imprese vitivinicole non si sentivano tutelate all’interno di questo Consorzio, perché c’era bisogno di dare un po’ più di valore a queste ultime. Proprio per questo motivo nella nostra associazione le aziende sono sullo stesso piano, ovvero una azienda, un voto, a prescindere dai volumi di bottiglie e che esprime. Questo fa sì che il piccolo imprenditore si sente parte attiva di un argomento, di una situazione.
Chi può aderire ai ‘Custodi del Lambrusco’?
Chiunque rispetti le 3 filiere, che abbia a cuore la qualità del Lambrusco, che voglia lavorare per cercare di dare qualcosa di buono e di bello al consumatore e al turista.
Grandi aziende o anche cooperative possono aderire alla vostra associazione?
No. È stata pensata per aziende ‘famigliari’, di dimensioni modeste, per quelle imprese che realizzano tutte le varie fasi della lavorazione, dalla coltivazione dell’uva all’imbottigliamento. Nelle cooperative i meccanismi sono diversi, e comunque all’interno del consorzio sono già tutelate
Riguardo all’utilizzo del nome ‘Lambrusco’, le normative vigenti indicano particolari prescrizioni. Potete utilizzare questa denominazione?
Come ‘Custodi del Lambrusco’ ci risulta di sì. Se dovesse emergere che non si può, potremo cambiarlo tranquillamente. Ci risulta, però, che la normativa europea indica che il nome di un vitigno non ha una proprietà legale, appartiene a tutti.
L’obbligo del contrassegno di Stato per i vini Igt di fatto che cosa ha comportato per voi produttori?
Per il consumatore rappresenta una certificazione in più, quindi un valore aggiunto per un prodotto più controllato rispetto alla Doc quindi sicuramente la fascetta valorizza il prodotto. Se proprio serviva doveva essere messa nelle Doc.
Per noi rappresenta un costo in più nella fase di etichettatura.