Elogio al “cappello del prete”, secondo Tugnazz

Marzo 2016

Inverno, soffia la tramontana. Mare d’inverno, spiaggia deserta. Tugnazz ed io, per consolarci, la sera invitiamo a cena buone amiche e ci concediamo sane libidini solo gastronomiche.

Un’amica emiliana di Tugnazz, dai tempi lontani di bagno Paradiso, ci ha portato in dono un bel “cappello del prete”, gustoso insaccato di maiale, originario di Modena, con poi varie versioni regionali, in virtù della sua saporosa bontà che ben si sposa ad un saggio contorno di purè e lenticchie (meglio queste ultime, se fatte rosolare nel tegamino con una piccola noce di mascarpone, alla faccia – una tantum – del colesterolo oggi affliggente).

Torniamo al “cappello del prete”. Scusandoci con lettrici e lettori che già lo sanno, il “cappello da prete” è ispirato, nel suo nome, all’antico cappello a tricorno tipico, un tempo, dei preti (faccenda un pò anticlericale che per Tugnazz, da buon romagnolo è doppia libidine). Dunque, l’involucro del “cappello” – cioè cotenna di maiale – racchiude un calibrato impasto di carni di maiale tritate con sale, pepe e aglio pestato nel vino bianco. Storicamente, può essere considerato il “nonno” dello zampone e del cotechino: difatti, il suo sapore è a metà tra di essi, ma con fragranza tutta sua. L’insaccato va doverosamente stagionato (la buona cucina, come la cultura, chiede i suoi tempi), pazientemente bollito. In tavola è gran delizia stagionale. Tugnazz l’ha celebrato: “Un ‘cappello del prete’ così – ha sostenuto – piacerebbe anche a quella bella persona che è Papa Francesco. Basti pensare non ai cappelli, ma agli scherzi da prete che certe vipere della Curia vaticana cercano di combinargli per sgambettarlo. Allora, brindisi al sangiovese al nostro Papa Francesco. Anche Gesù moltiplicò per gli ospiti alle nozze di Cana bontà e vino inaspettato: ma soltanto per fratellanza”.

Il Passator Cortese

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