SANT’AGATA SUL SANTERNO (Ravenna) – La Comunità agricola sociale (Csa) Casetta Terrestra riesce ad ottenere il meglio dalla terra e dalle persone. Nasce dalla volontà di Silvia Pattuelli che nel 2013 ha deciso di lasciare il suo lavoro di economista e di dedicarsi alla rivitalizzazione del podere di famiglia. Da subito la coltivazione è stata biologica, ma dopo un primo periodo è emerso che non era economicamente sostenibile. Quindi è arrivata la decisione, non semplice, di fondare una Csa.
“Avevamo un frutteto che gestivamo come tutti i biologici gestiscono, quindi raccoglievamo e conferivamo a una cooperativa della zona – racconta Silvia -. Anno dopo anno ci siamo accorti che non riuscivamo più a sostenere economicamente questa azienda. Nel senso che quando portavi ad esempio susine, o non erano abbastanza colorate, o avevano un difettuccio, per cui la percentuale di scarto era enorme, e i prezzi bassissimi. Quindi stavamo affondando”.
L’anno della costituzione della Csa è stato il 2021. “Il momento più giusto – ironizza Silvia -, quando è scoppiata la pandemia, fare una comunità in un momento in cui tutti dovevano stare chiusi in casa è stato particolarmente complesso. Un ossimoro insomma: noi avevamo bisogno di creare una comunità e tutti erano chiusi in casa. Ma ce l’abbiamo fatta”. Una Csa è una comunità che supporta l’agricoltura, è un modello che nasce in Giappone negli anni ‘40, “quando delle donne decidono di affidare a un contadino la coltivazione delle verdure affinché i propri figli mangiassero cibo sano”.
La prima Csa italiana è Arvaia, nata a Bologna. “Siamo partiti con 19 soci che sentivano il bisogno di mangiare prodotti sani”. Oggi i soci sono 56. “Il progetto è rivoluzionario, perché esce dal mercato – prosegue Silvia -, noi non dipendiamo più da qualcun’altro che decide per noi il prezzo, quindi già questo è un concetto particolarmente innovativo. A inizio anno facciamo insieme un budget previsionale con l’elenco di tutti i costi che sosterremo, incluso piantine, sementi, materiali di irrigazione, pacciamatura, con anche il costo del lavoro. Il bilancio è trasparente, visibile da tutti, si può prenderne atto e si può intervenire. È studiato per avere una produzione tale da permetterci di distribuire ogni settimana una cassetta di verdura mista, con 6-8 varietà, di 5 o di 2,5 kg”. Il totale di questi costi viene suddiviso per il numero di soci che partecipano al progetto.
“Quest’anno abbiamo stimato che il nostro budget si aggira sui 32.000 euro, abbiamo diviso per 56 soci, la quota quindi si aggira sui 780 euro a semestre”. Ogni giovedì i soci si recano in comunità a prendere la loro cassetta che si fanno da soli. Il funzionamento è autogestito. “I soci sanno che devono prendere quello che è scritto sulla lavagna e si fanno le proprie cassette pesando ogni prodotto. Noi abbiamo preventivamente pesato i prodotti a livello cumulativo, non ci sono mai problemi che manchi qualcosa, anzi, c’è sempre qualcosa in più. Cerchiamo di mettere frutta e verdura di vari colori, con un’attenzione all’aspetto nutrizionale e cercando di recuperare anche varietà antiche”.
Il rapporto dei soci va oltre l’incontro in campo. “È stata creata una chat dove ci scambiamo qualsiasi informazione utile, come le ricette, e se qualcuno è in difficoltà o ha particolari problemi e quindi ha bisogno di sostegno, c’è chi si offre per consegnare la spesa”.
A Casetta Terrestra viene applicata l’agricoltura rigenerativa attraverso una serie di tecniche. “Non utilizziamo letame e nessun derivato animale – specifica Silvia -, ma utilizziamo dei macerati, dei fermentati, in particolare il biochar che è una carbonella che ospita microrganismi, il cippato, il compost e pratichiamo i sovesci e le rotazioni. Sono tantissime tecniche che mettiamo in atto in maniera sinergica per non utilizzare nessun prodotto chimico, ma questo richiede tanto lavoro”. Una decina di anni fa, quando è iniziata l’avventura di Silvia, “Il primo atto che abbiamo compiuto è stato quello di togliere un frutteto e mettere un bosco. Abbiamo fatto qualcosa di molto contro intuitivo per qualsiasi contadino. Nel vigneto abbiamo buttato giù 4 piante per ogni filare ovunque lungo i confini, per mettere una siepe e dare un po’ di respiro e favorire la biodiversità”. Nel vigneto è stata seminata anche della salvia. “È stato scoperto da degli studi universitari che la salvia conferisce un aroma particolare al Trebbiano. Inizialmente era un esperimento per contrastare la Peronospora, purtroppo non ha avuto effetto su questo, ma sulle proprietà della bacca sì. Dall’analisi hanno visto che era particolarmente aromatica, il Trebbiano di questa area è eccezionale, sapido, pieno di profumi. Nei terreni non è stato dato alcun erbicida nell’arco di 10 anni, sono cresciute erbe selvatiche oltre a molti alberi”.