Tutti i paesaggi sono culturali, compreso quello agricolo

Ottobre 2015

Fabio Fornasari, architetto paesaggista  

Il senso di questo breve scritto è offrire una immagine il più possibile chiara di una relazione intensa che lega l’agricoltura e la città, la produzione alimentare e la produzione dei nostri paesaggi.

Passeggiare porta a osservare e quindi a pensare. Camminare per le strade di Expo 2015 ci porta a pensare alla potenza che oggi ha l’uomo nel costruire e modificare paesaggi. Potenza che richiama istantaneamente un senso di responsabilità e fa sorgere numerose domande sul nostro futuro di abitanti e di progettisti.

Come abiteremo il pianeta, sotto quali forme di organizzazione ci manterremo uniti?
Come e dove troverà luogo la produzione del nostro cibo?
Infine: come usare Expo 2015 per conoscere qualcosa del nostro comune futuro?

Lo sappiamo: tra una generazione, un secolo, queste nostre città, le nostre campagne verranno occupate da altri: i posteri. Gente per ora senza volto ma che sappiamo essere il risultato del nostro seme, delle nostre azioni. I posteri porteranno sui documenti i nostri cognomi e abiteranno gli spazi che lasceremo loro, guarderanno e impareranno innanzitutto da quello che lasceremo loro in eredità. Potremmo conoscere qualcosa del nostro futuro ponendo attenzione alle nostre pratiche d’uso del pianeta: come usiamo il mondo, come lo abitiamo e come ci alimentiamo. Gli abitanti delle metropoli per primi hanno capito che la trasformazione degli spazi urbani in spazi dedicati alla produzione del cibo, alla coltivazione di orti e di piccoli campi produttivi è un motore di trasformazione e cambiamento potente: entra nelle politiche della città, nell’economia delle stesse e agisce sulle relazioni sociali, oltre che produrre indirettamente sostenibilità e aumentare la sensibilità ecologica del sistema urbano.

Da sempre esistono gli orti, ma quello che è cambiato sono i protagonisti: non sono più i pensionati, ma quella parte di cittadinanza che si attiva in città per produrre non solo cibo ma socialità. L’agricoltura urbana è un fenomeno che investe generazioni differenti, occupate, disoccupate, in formazione e pensionate, che cercano altre forme di consumo del tempo dedicandosi alla coltivazione. Le amministrazioni col tempo hanno osservato e incorporato questo fenomeno nella pianificazione territoriale, riconoscendo benefici sui diversi livelli: salvaguardia della salute, integrazione sociale, supporto economico per le famiglie e aumento della sostenibilità urbana.
I progettisti hanno osservato, studiato, alimentato e raccolto queste nuove forme dell’abitare la città. La novità non sta nell’elemento vegetale integrato nell’architettura. Dopotutto, l’architettura nasce come pensiero sulla natura, come strumento di protezione e riparo per se stessi e per il fuoco che garantiva la sopravvivenza. Molto chiaramente, l’Expo 2015 di Milano ci rivela il valore che ha l’agricoltura per il nostro futuro, che non si lega alla sola produzione di cibo ma alla produzione di un immaginario culturale che scardina la tradizionale dicotomia cittàcampagna. Immaginario fatto di piante ma anche di terra e di acqua. L’architettura vi è compresa come elemento minerale.

Tutti i paesaggi sono culturali, compreso quello agricolo, in quanto pensato e prodotto dall’uomo, e come tali dialogano tra loro. Ora più che mai. L’Esposizione universale ci mostra che la città, per uscire da una crisi identitaria, ha nuovamente bisogno della ricerca sviluppata in agricoltura, offrendo a noi progettisti tutti quegli elementi che ci permettono di pensare a nuove forme dello spazio e a nuovi spazi per la socializzazione.

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