Aprile 2015
di Gaia Fiertler
L’Italia chiede alla Commissione europea di attuare la clausola di salvaguardia con il ripristino dei dazi sulle importazioni di riso dai paesi meno avanzati, che sono fortissimi produttori.
Qual è la strategia di difesa e rilancio del riso italiano? L’abbiamo chiesto a Roberto Magnaghi, direttore dell’Ente nazionale Risi.
Chiedere di ripristinare i dazi non può provocare ritorsioni al nostro export di eccellenze italiane nei paesi asiatici?
No, non temiamo ritorsioni, perché chiediamo solo di ripristinare l’equilibrio precedente. Il dazio di 175 euro/t era frutto di un accordo tra la Comunità europea e la Thailandia, nostro principale fornitore di riso, proprio per garantire un equilibrio tra produzione interna e import. La decisione del 2009 di agevolare i paesi meno avanzati (Cambogia, Myanmar, Bangladesh, Laos) sta minacciando seriamente la produzione locale e non è una scelta equa, perché sono Paesi con costi di produzione bassissimi, imbattibili a livello di prezzo.
Quali sono le strategie di difesa del riso italiano?
Partendo da Expo, vogliamo promuovere e diffondere la qualità delle varietà italiane e, di conseguenza, favorire il consumo di risotto. Sfrutteremo anche il regolamento comunitario n. 1144 del 2014 relativo alle azioni di informazione e promozione dei prodotti agricoli, mentre sta per essere emanata una legge delega che prevederà in etichetta una maggiore caratterizzazione delle varietà nostrane.
Che consiglio darebbe a un produttore di riso in questo momento?
Di mantenere comunque un mix di produzione, perché abbandonare del tutto la produzione di indica può rivelarsi un autogol. L’Europa chiede questo tipo di riso, che è quello delle insalate, e rinunciare del tutto a questa partita vuol dire regalare quote di mercato agli operatori asiatici, compresi quelli che pagano il dazio come la Thailandia.
Vuol dire rinunciare a quote di mercato preziose, che abbiamo conquistato negli anni con investimenti nella rete commerciale, in particolare dal 2004 con l’adesione di nuovi 10 paesi alla Comunità europea. Vuol dire anche portare le nostre aziende di trasformazione ad acquistare indica lavorato sfuso altrove, in un mercato internazionale dove si prevede comunque un aumento fisiologico dei prezzi per l’aumento della popolazione, cui non corrisponderà un equivalente aumento della produzione mondiale di riso.