Il balletto dei dazi peserà comunque sul made in Italy

prodotti tipici italiani

Claudio Ferri, direttore Agrimpresa

“Più che un accordo, l’intesa sui dazi al 15% sembra una resa”. Il commento del presidente nazionale Cia, Cristiano Fini, rende bene l’idea di come si è conclusa la ‘trattativa’ su un caso in primo piano da tempo. Ora l’export del made in Italy agroalimentare verso gli Usa (7,8 miliardi di euro nel 2024) rischia grosse perdite in settori chiave come vitivinicolo, olio, pasta e riso, caseario, senza ottenere niente in cambio.

Il nuovo balzello mette a rischio anche il tessuto produttivo dell’Emilia Romagna: un’elaborazione di ReportAziende.it, condotta su dati Istat-Comext ed Eurostat aggiornati al 2024 rileva che le esportazioni regionali verso gli Usa nei settori interessati superano i 4 miliardi di euro annui, con le province di Parma, Modena, Reggio Emilia e Bologna particolarmente esposte nei comparti agroalimentare Dop con Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e Aceto Balsamico, senza contare una quota significativa verso gli Usa che riguarda l’automotive, la meccanica industriale, la ceramica tecnica e di design.

A subirne le conseguenze l’occupazione regionale che, sempre secondo il portale ReportAziende.it, ‘costerebbe’ oltre 25.000 posti tra piccole e medie imprese, nonché cooperative. A livello nazionale si stimano 115.000–145.000 occupati, di cui 75% concentrati nel Nord Italia.
Notevoli anche gli effetti sui prezzi interni, si parla di un aumento del 10% medio al consumo dai primi mesi del 2026, soprattutto su formaggi Dop, salumi, olio, vini premium.

Nonostante sia stata evitata la tariffa al 30%, resta una grande preoccupazione per l’impatto reale di questi dazi e comprendere l’effetto una volta definite ufficialmente le liste doganali.
Il rischio concreto di un calo dell’export è molto alto e si aggiunge all’effetto combinato di dazi con fluttuazioni del cambio euro-dollaro, che farà da moltiplicatore, aggravando l’impatto delle misure doganali, traducendosi in costi aggiuntivi per le aziende nazionali e rendendo meno competitivo il made in Italy.
Per il vino, poi, gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024.

Per quanto concerne il mondo dell’olio, il dazio al 15% rischia di ridurre la competitività dell’extravergine italiano a favore di oli più economici provenienti da Paesi terzi che godono di tariffe più basse, come la Turchia, il Sud America o la Tunisia. C’è paura anche perché questi nuovi dazi colpiranno trasversalmente tutti i principali Paesi produttori europei (Italia, Spagna, Grecia) con la conseguenza di un possibile eccesso di offerta sul mercato interno, che porterebbe a un deprezzamento generale dell’olio italiano.
In pericolo infine anche pasta, riso e farine, tra i prodotti più amati dal mercato Usa, con un export annuo di circa 2 miliardi e quasi mezzo milione di tonnellate.

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