I dazi ipotecano il futuro del vino mentre “corre” il dealcolato

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Claudio Ferri, direttore Agrimpresa

“L’Unione europea, una delle autorità al mondo più ingiuste e ostili su tasse e dazi, formata con il solo scopo di approfittare degli Stati Uniti d’America, ha appena imposto un odioso dazio del 50% sul whisky. Se questa tariffa non sarà subito rimossa, imporremo a breve dazi del 200% su tutti i vini, gli Champagne e i prodotti alcolici in arrivo dalla Francia e dagli altri Paesi dell’Ue. Sarà grandioso per le aziende statunitensi di vino e champagne”. Parole di Donald Trump con le quali sul social Truth il presidente Usa ha risposto alla decisione presa dall’Unione europea di introdurre dazi a partire dal primo aprile per una serie di prodotti importati dall’America in risposta ai dazi americani del 25% su alluminio e acciaio e prodotti derivati europei entrati già in vigore. Affermazioni deflagranti che mettono in allarme il mondo del vino, una voce che per molti Paesi europei, Italia in primis, rappresentano una bella fetta di export e di valore economico. 

Secondo i calcoli dell’Unione italiana vini con i dazi Usa al 200% l’Unione, complessivamente, perderebbe circa 4,9 miliardi di euro di export, ovvero il totale delle esportazioni dirette in America. “Ma a perdere sarebbe anche tutta l’industria del wine&food americana – sottolinea l’Uiv – perché per ogni euro di vino d’importazione acquistato se ne generano 4,5 in favore dell’economia statunitense”. 

È questo il clima che attraversa il settore nelle ultime settimane, dove il vino in diversi appuntamenti internazionali (Prowein a Dusseldorf e Vinitaly a Verona) porta in scena novità sulle etichette, innovazione enologica e progetti per un consumo di vino consapevole. La mannaia dei dazi sui vini, al momento di andare in stampa solo paventata, fa tremare i produttori e tutta la filiera che genera lavoro ed economia.

Non mancano le ripercussioni sui mercati azionari. Secondo Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, (esperto di analisi applicata ai mercati finanziari), la reazione dei mercati azionari “è stata immediata con i grandi produttori europei di vino e alcolici che hanno registrato cali molto significativi”.  

Nel 2024, gli Stati Uniti hanno importato vino dall’Europa per un valore complessivo superiore ai 5 miliardi di euro, con l’Italia tra i principali esportatori (seconda solo alla Francia), avendo raggiunto i 2 miliardi di euro, con un incremento superiore al 10% rispetto all’anno precedente. Va da sé che il negoziato e la diplomazia hanno un ruolo importante in quella che adesso è una schermaglia dialettica, anche con toni forti, ma mai come adesso l’Europa deve restare compatta sulla difesa delle esportazioni, sottolineando che le misure protezionistiche non giovano a nessuno. Magari lo spauracchio del ‘bicchiere mezzo vuoto’ potrebbe aiutare alla coesione tra i membri dell’Ue.

Tornando al filo conduttore di questo numero di Agrimpresa e alle novità in campo enologico non va tralasciato un segmento a cui molte imprese vitivinicole stanno guardando con interesse, ovvero il ‘vino’ dealcolato.
“L’introduzione di questi prodotti non ha l’obiettivo di sottrarre spazio al vino tradizionale, ma piuttosto di affiancarlo, offrendo una possibilità in più per momenti di consumo differenti. In questo senso, rappresenta un’opportunità per allargare il pubblico e fidelizzare nuove fasce di consumatori” commenta sul suo profilo Linkedin Francesca Benini, sales & marketing director di Cantine Riunite & Civ, mentre è più scettico Fabio Piccoli, direttore del gruppo editoriale Wine Meridian che sullo stesso canale social dice “…ancora una volta il mondo del vino fatica a gestire le tendenze con lucidità.
Si passa dall’ignorarle a rincorrerle senza un’analisi concreta. Ma la storia ci insegna che il vino non si snatura senza perdere se stesso. I vini dealcolati avranno un loro spazio di mercato, ma credere che cambieranno le sorti del settore è un errore. Servono meno entusiasmi e più razionalità”.

Vedremo.

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