Amarcord: le venditrici ambulanti di pere “cutarone”

Novembre 2015

Chi scrive, assieme a Tugnazz, è nato negli anni 50. E dunque, aprendo la cannella dei ricordi, ha visto in opera quand’era bambino le simpatiche ambulanti che d’autunno, con il loro biroccino, proponevano a gran voce: “Cutaròni, cutaròni, dòni”; cioè pere (ma anche mele) cotte.

“Cutaronì”, in dialetto romagnolo, sta per cottarone, cioè cotte al forno. Vale a dire pere ricoperte da una camiciola di zucchero (meglio se nella teglia c’era un dito di buon vino) e cotte al forno: allora i fornai, poiché il forno deve restare sempre acceso, facevano anche servizio pubblico di cottura per poche lire. Una delizia quelle pere al forno, anche la buccia diventa una scorza fragrante.

“Chi pensa che le pere o le mele al forno siano una roba da mensa ospedaliera è un “patàca”- sostiene Tugnazz -. Vuol dire che ha perso il gusto della vita, delle cose semplici e buone”.

Le buone pere ci fanno compagnia da almeno duemila anni: il grande Plinio, nella sua Storia Naturale, ai tempi dell’impero romano che era non solo una potenza militare ma anche alimentare, ne elencava già 35 varietà. L’antica familiarità della pera la ritroviamo persino nell’iconografia religiosa, sin dal Medio Evo: notevoli sono le “Madonne delle pere”. In Pinacoteca, a Cesena, c’è un bel quadro: una Madonna con Gesù piccolo e una pera, di un pittore romagnolo- marchigiano, di buona scuola, del 1430 circa.

La pera in questione è una “pera volpina”, tipica della collina: una delle più piccole e rustiche tra le pere, goduria se cotta nel vino con chiodi di garofano; uno dei “frutti perduti” e per fortuna ritrovati. Il suo nome viene dalla volpe, assai golosa. Anche le volpi sono buongustaie per natura. L’uva per loro a volte è troppo alta, ma le pere cadute no; quindi da “slurpare” con gusto nelle loro scorribande notturne.

Il Passator Cortese

 

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