Fattoria sociale Villa Imoletta: il lato inclusivo dell’agricoltura

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QUARTESANA (Ferrara) – Una bella dimora di fine Cinquecento circondata da un parco e da campi coltivati che diventa luogo di inclusione per ragazzi con disabilità attraverso l’attività agricola. Questa è l’anima della Fattoria sociale Villa Imoletta, un progetto di integrazione nato grazie alla generosità e sensibilità della famiglia Monini che ha scelto di fare qualcosa di concreto per la comunità. Abbiamo chiesto a Tullio Monini, presidente della Fondazione Imoletta Ets che gestisce la fattoria, di raccontarci la sua genesi e le molte attività legate al settore agricolo.

Dove nasce l’idea di trasformare la casa di famiglia in una fattoria sociale?

La villa, che apparteneva originariamente a un diplomatico di Alfonso II d’Este originario di Imola, da qui il nome della tenuta, è stata acquistata da mio padre e restaurata. Il suo obiettivo era quello di dare a tutta la famiglia e soprattutto a mio fratello, che aveva una disabilità cognitiva, un luogo bello dove vivere e lavorare, proprio grazie all’agricoltura. Poi mio fratello è purtroppo scomparso prematuramente, io e i miei altri due fratelli abbiamo preso strade diverse e la casa è rimasta per anni solo un luogo caro ma scarsamente frequentato, uno spreco di spazio e opportunità. Così, quando sono andato in pensione dopo aver lavorato per tanti anni come responsabile del servizio di integrazione scolastica del Comune di Ferrara, ho deciso insieme ai miei fratelli di dare un senso a questo patrimonio dal valore affettivo e storico e di dare vita a un progetto sociale. Così abbiamo coniugato due esigenze apparentemente distanti, anche dal punto di vista temporale: il sogno di mio padre per la sua famiglia e quella di tante famiglie che si occupano di ragazzi con disabilità che escono dalle scuole superiore e faticano a inserirsi in ambito lavorativo. Nel 2021 abbiamo ceduto a titolo gratuito ed irrevocabile la proprietà a una Fondazione senza scopo di lucro e nel 2022 è nata la fattoria sociale circondata originariamente due ettari di terreno che ora sono diventati cinque grazia alla donazione di un agricoltore del territorio

Quali attività proponete ai vostri ragazzi?

Voglio specificare che il progetto della fattoria è un percorso in divenire e cerchiamo di ampliare periodicamente le attività. Inizialmente avevamo colture estensive ma quasi subito abbiamo deciso di puntare su un frutteto diffuso che conta molte varietà frutticole con l’obiettivo di ampliare il periodo di raccolta e consentirci di lavorare più tempo con i ragazzi, che poi sono impegnati anche nella trasformazione dei prodotti nel laboratorio della Villa. Ci sono poi le attività orticole, grazie le quali abbiamo creato un gruppo di acquisto solidale per le famiglie e le erbe officinali, che gestiamo in collaborazione con un’azienda agricola del territorio che ha un laboratorio per produrre tisane. Poi, naturalmente, ci sono gli animali: abbiamo 22 alveari e, grazie al supporto di un apicoltore, produciamo il nostro ottimo miele, il pollaio e recentemente sono arrivate anche due asinelle che vanno accudite e che, con la loro dolcezza e intelligenza, sono una “terapia” straordinaria

Come mai proprio l’agricoltura?

Il contatto con la terra, con i frutti che crescono e si raccolgono grazie alle cure quotidiane, con gli animali è essenziale per ragazzi che possono diventare operosi, trovare uno scopo e uscire dalla solitudine che spesso provano quando escono dal percorso scolastico dove vengono accompagnati in maniera quotidiana. Solo a Ferrara ci sono circa 1.200 giovani adulti che hanno un sostegno dal nido alle superiori e che poi si trovano a fare i conti o con l’assenza di servizi o con strutture che non propongono attività pratiche. Qui da noi i ragazzi sono sotto il sole, la pioggia, si sporcano le mani e si sentono utili, non credo ci sia un modo migliore per includere e dare una prospettiva di vita più serena.

L’agricoltura sociale è un’opportunità per il settore agricolo?

Certamente è un aspetto della multifunzionalità agricola ancora relativamente nuovo, che sconta le difficoltà burocratiche anche solo per venir riconosciuti come fattoria sociale. Noi siamo in un contesto particolare, non nasciamo come agricoltori ma abbiamo visto nell’agricoltura un’opportunità concreta per dare un sostegno alle persone più fragili che possono dare tanto a questa società. Certamente non si può pensare di trattare l’agricoltura sociale come quella tradizionale: qui la produttività non conta, conta creare valore a favore della collettività. Però non si tratta di un’agricoltura “senza reddito” e credo che un buon progetto, magari collegato a un’azienda agricola convenzionale, che magari cede parte dei suoi terreni per un percorso sociale, possa dare soddisfazioni non solo a livello umano ma anche economico.

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