Ottobre 2015
Firmata un’intesa tra le due organizzazioni per attivare progetti e sinergie congiunte: un marchio di qualità per l’accoglienza del turismo “a quattro zampe” negli agriturismi e per gli allevamenti “doc”, interventi di recupero dell’istinto difensivo di alcune razze e consulenze fiscali per i proprietari.
Il mondo cinofilo con l’indotto muove la cifra record di un miliardo di euro circa. Oltre il 75% degli agricoltori ha un cane, una famiglia di cittadini su quattro ha un cane, sono circa 140 mila quelli di razza purissima censiti e che partecipano ad esposizioni e gare, muovendo un business di decine di milioni di euro ogni anno, tra logistica e spese di vitto, pernotto e indotto.
Questa cifra cresce fino a toccare il miliardo di euro all’anno, sommando agli oltre 360 milioni del “turismo a quattro zampe”, il mercato degli allevamenti (ogni cane di pregio supera mediamente i mille euro di valore commerciale), quello dei prodotti per la cura, prodotti per l’alimentazione, farmaci, certificazioni, spese veterinarie e i fatturati dei negozi per il “pet”. Insomma, una voce nel quadro economico e sociale del Paese di grande rilevanza. Del resto, si stimano in circa 2,5 milioni il numero di cani adottati dalle famiglie italiane. L’allevare cani è, a pieno titolo, un’attività agricola, a fronte di precisi requisiti: non meno di 30 cuccioli nati entro 360 giorni e il possesso di almeno 5 “mamme” idonee alla riproduzione.
Aspetto interessantissimo, presente nell’accordo, è quello relativo alla realizzazione di progetti tesi al recupero dell’istinto difensivo di alcune razze canine, che nel tempo hanno perso la loro vocazione originaria.
Un caso eclatante è quello del maremmano-abruzzese utilizzato per proteggere il gregge dall’abigeato in alcuni territori e in altri chiamato a difendere il gregge dall’attacco dei predatori selvatici.
Tema, quest’ultimo, tornato di strettissima attualità con il proliferare e la perdita di controllo della fauna selvatica, come lupi e cinghiali, che produce danni enormi e mattanze negli allevamenti ovi-caprini e non solo.
Ma tornando al protocollo Cia-Enci, ecco i maggiori obiettivi dell’accordo: incentivare l’ospitalità degli animali domestici negli agriturismi attraverso la definizione di buone pratiche; realizzare aree dedicate alle attività cinofile per gli ospiti negli agriturismi; “formare” gli operatori agrituristi alle tematiche cinofile (es. allevamento, addestramento ecc.); creare un marchio di qualità tipo “fattoria cinofila” alle aziende che si impegnano in questo percorso; promuovere i servizi di assistenza e consulenza alle imprese agricole e ai cittadini possessori di cani; divulgare una maggiore attenzione nelle aziende agricole sulle caratteristiche peculiari delle diverse razze canine selezionate nei secoli per scopi ben specifici attraverso la partecipazione attiva nell’allevamento e nella selezione; attivare un’azione di supporto e divulgazione per favorire il recupero dell’istinto di tutela dai selvatici dei cani da pastore per fornire una valida protezione naturale agli attacchi dei lupi (molto spesso ibridi) che sempre di più si stanno verificando nei nostri pascoli appeninici; favorire una maggiore coesione con il mondo venatorio per una più equilibrata gestione dei selvatici e del territorio.