“Superfici a mais calate di oltre un terzo nel reggiano”

GUALTIERI (Reggio Emilia) – Prosegue ormai da anni la tendenza all’abbandono della produzione di mais, in Italia ed anche nella nostra zona, cosa che crea pericoli anche per le migliori produzioni di qualità del nostro territorio. A lanciare un allarme è Valeria Villani, gualtierese collaboratrice nelle aziende cerealicole di famiglia, da qualche giorno nominata coordinatrice di Agia, l’associazione giovani della Cia – Agricoltori Italiani di Reggio Emilia. “La tendenza dura da un decennio – afferma – e l’anno scorso ha fatto registrare un’annata tra le più difficili, caratterizzata da un’estate particolarmente calda e siccitosa, tanto che si stima un calo produttivo del 20% rispetto all’anno precedente; ma al di là dei fattori contingenti, prosegue l’abbandono delle superfici, tanto che nel decennio siamo passati dall’autosufficienza produttiva ad un deficit del 50% del nostro fabbisogno. Questo però potrebbe diventare un problema serio, in primo luogo per i grandi prodotti dop di origine animale, in particolare salumi e formaggi”.

“Anche nella nostra provincia i dati sono significativi – prosegue -: se nel 2010 i dati ufficiali dicono che a mais avevamo seminato 8.800 ettari, nel 2016 siamo scesi a 5.900, oltre un terzo in meno; tendenza che risulta proseguita anche nel 2017, anno per il quale non ci sono ancora i dati definitivi, mentre anche per le prossime semine, i fornitori del seme hanno il sentore di un ulteriore calo”. “Una criticità è il problema delle micotossine – prosegue -, contaminanti naturali prodotti dall’attività di muffe, che ha profondamente influenzato le filiere e i mercati del mais a causa dei rischi che comportano, anche se va detto che il limite di presenza previsto in Italia è molto più basso – quindi prudenziale – rispetto agli altri paesi, per quanto riguarda l’alimentazione degli animali da carne. Su questo tema in particolare si terrà venerdì 2 marzo prossimo un convegno a Guastalla, a cura del Consorzio fitosanitario provinciale”.

“Abbiamo la necessità – afferma Valeria – di cercare di trovare le soluzioni per invertire questo trend negativo, perché in caso contrario c’è il rischio di mettere in pericolo il patrimonio delle denominazioni di origine protette. Questo cereale è infatti la base per l’alimentazione di tutto il patrimonio zootecnico del Paese, imprescindibile quindi per quasi tutte le produzioni dop simbolo del made in Italy alimentare nel mondo che, infatti, ne prevedono l’utilizzo, per almeno il 50% sotto forma di mangime nei disciplinari di produzione; ormai siamo al limite, dato che l’importazione sfiora il 50% del nostro fabbisogno”. “Un contributo importante può venire dalla ricerca – conclude Valeria – ma tutta la filiera produttiva deve essere impegnata a recuperare questa produzione, decisiva per la distintività dei nostri più grandi prodotti”.

Articoli correlati

WhatsApp chat

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella privacy policy. Clicca ok per proseguire la navigazione e acconsentire all’uso dei cookie.