Giugno 2017
Alessandra Giovannini
CESENA – È un mercato in forte crescita non più solo legato ai periodi delle feste di Natale, ma anche ai benefici per la salute e alle proprietà nutrizionali. È il mercato della frutta secca, sia sgusciata che disidratata.
Un trend in salita sbandierato con orgoglio da Nucis Italia, l’associazione delle principali aziende del settore e confermato dai dati raccolti da Nilsen che spiega come dal febbraio 2016 al gennaio 2017 si sia registrato un incremento di oltre il 12% della vendita di frutta secca confezionata nei supermercati pari a 704 milioni. Una crescita dei consumi triplicati in 15 anni.
Un vero e proprio toccasana non solo per la salute finanziaria dei supermercati ma anche, e soprattutto, per la nostra salute fisica se è vero che il consumo abituale di nocciole, noci e mandorle riduce il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, il diabete e riduce la possibilità di recidiva di cancro al colon. Altissimo apporto di calorie bilanciato dai minerali, fibre, proteine e acidi grassi che ne decretano il successo. Il prodotto più venduto sono le mandorle senza guscio che in dodici mesi hanno portato nelle casse della grande distribuzione una cifra in progresso del 22%, a seguire le noci con guscio (+10%), arachidi senza guscio (+8,8%) e i pistacchi con guscio (+7,9%). E poi ci sono le nocciole di cui si è parlato a maggio in un meeting scientifico a Grinzane Cavour in provincia di Cuneo, zona ad alta produzione di questa tipologia di frutta secca.
Nel documento di consenso firmato da tutti gli esperti partecipanti, si rileva come, pur essendo l’Italia il secondo produttore mondiale di nocciole, la produzione copre attualmente l’80% del fabbisogno nazionale. Il consiglio è “l’implementazione di filiere che valorizzino le produzioni tipiche (in particolare Dop e Igp) delle diverse aree corilicole attraverso la commercializzazione di nocciole destinate anche al consumo diretto, in guscio, sgusciate, o minimamente trasformate”. E a chiedere il prodotto a gran voce, anzi a lanciare l’allarme è Ferrero, primo consumatore mondiale che dipende per il 60% del suo crescente e brillante fatturato da questa materia prima, quasi esclusivamente di provenienza turca, un mercato a forte instabilità politica.
Al centro di un progetto creato dalla Ferrero e Ismea e presentato al forum organizzato a Bologna da Edagricole, la volontà di aumentare la superficie coltivata di 20.000 ettari in 5 anni (+30%). Intanto l’Emilia Romagna studia la coltura, attualmente la produzione del nocciolo arriva a poco più di 10 ettari, e la carta regionale della vocazionalità dei suoli appena ultimata dà un parere positivo sul 50% dei terreni, soprattutto quelli a sud della via Emilia. Nel frattempo si fanno le prove in campo del materiale vivaistico propagato, mentre Giovanni Bagioni a Cesena ricorda il suo vivavio di piante madri certificate, l’unico in Emilia Romagna.
Una geografia colturale della nostra regione, dunque, che potrebbe cambiare, anzi, sta già cambiando grazie ad un progetto di filiera che vede capofila New Factor, un’azienda romagnola che produce 20 milioni di confezioni all’anno di snack a base di frutta secca, e che vuole raggiungere i 500 ettari di noceti impiantati entro il 2020 per una produzione a pieno regime di 2 mila tonnellate. Dunque, frutta secca al posto di pesche e albicocche? Perché no.
“Io alle noci ci ho pensato già nel 1997” – racconta Clemente Di Placido, dipendente della Caci, la società controllata dalla Cooperativa Trasporti di Imola che in quell’anno decise di inglobare una delle principali aziende agricole della regione. – A quel tempo ero responsabile della sezione agricola, avevamo a disposizione 1.000 ettari di terreno, una sovrapproduzione di frutta e una forte crisi di mercato. Mi avevano colpito le esperienze in Veneto e in Romagna a San Martino in Strada, comune di Forlì. Perché non copiare progetti positivi e, soprattutto, nuovi? Abbiamo iniziato nel 2007 e in tre anni abbiamo piantato 33 ettari di noci della varietà Chandler in località Pontesanto, alle porte di Imola. Oggi produciamo circa 120 tonnellate di noci che vendiamo direttamente nel nostro spaccio aziendale. Una coltura che richiede esigenze simili alla frutta fresca e comporta quasi le stesse problematiche, ma che ha un mercato molto interessante e in forte crescita. Una sfida possibile, insomma. Oggi accanto a me c’è Matteo Piancastelli, un giovane perito. Lui rappresenta il futuro”.