Dicembre 2014
ROMA – L’Italia può e deve ripartire dall’agroalimentare, ma bisogna liberare il comparto dai “falsi miti” che ne danno un’immagine distorta e guadagnare competitività, superando costi e oneri della burocrazia, eliminando le strutture intermedie, aumentando la dimensione economica delle imprese, creando un’agenzia per l’internazionalizzazione dell’agroalimentare”.
Lo hanno ribadito le organizzazioni riunite in Agrinsieme nel corso della prima conferenza economica svolta a Roma il 18 novembre scorso che ha visto la partecipazione di oltre 2000 agricoltori provenienti da tutta Italia.
All’Auditorium della Conciliazione c’è stato un confronto con cinque esponenti del governo: il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, delle Politiche agricole Maurizio Martina, della Salute Beatrice Lorenzin, dell’Ambiente Gianluca Galletti e con il viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
“Siamo fermamente convinti – ha dichiarato il coordinatore di Agrinsieme Mario Guidi – che è proprio facendo leva sui suoi veri punti di forza che l’agroalimentare, in questa fase delicata, può essere determinante per l’economia italiana. C’è un enorme potenziale di crescita sui mercati internazionali, ma la forza del brand del made in Italy non è oggi supportata da una produzione e distribuzione altrettanto solide”.
Come è stato messo in luce nel Rapporto Agrinsieme-Nomisma “Operazione verità” presentato nel corso della Conferenza, nonostante le esportazioni agroalimentari italiane abbiano registrato una crescita negli ultimi 10 anni, la quota di mercato detenuta dall’Italia a livello mondiale è diminuita dal 3,3% al 2,6%. E se gli scambi commerciali a livello internazionale dei prodotti agroalimentari sono triplicati, paesi come Cina e Brasile sono cresciuti a ritmi molto più veloci del nostro.
Per fortuna la domanda alimentare all’estero è in continua crescita. Se da un lato ci sono buone potenzialità di sviluppo tutte da cogliere, dall’altro le inefficienze di sistema sono altrettanto numerose e radicate. Ecco perché se davvero si vuole posizionare l’agroalimentare al centro del sistema economico e sociale, non è sufficiente secondo Agrinsieme dare attuazione soltanto ad interventi specifici del settore.
“È quanto mai imprescindibile – ha spiegato Guidi – un vero e proprio cambio di rotta per la sostenibilità e la continuità dell’agroalimentare italiano. Un cambio di rotta che faccia leva su un mix di scelte di contesto, macroeconomiche, logistiche, infrastrutturali ed ambientali”.
Alcuni esempi: in Italia il costo dell’autotrasporto è in media di 1,59 euro a chilometro, in Germania 1,35 euro e in Francia 1,32 euro. Il costo dell’energia elettrica per uso industriale in Italia è superiore del 30% rispetto alla media europea. Notevoli anche i costi e i ritardi dovuti alla burocrazia: emblematico il numero dei giorni necessari per esportare via nave, che vanno dagli 8 del Regno Unito ai 9 della Germania, ai 10 di Francia e Spagna, per finire con i 19 giorni necessari per l’Italia.
Necessario inoltre che vengano realizzati interventi, radicali e coraggiosi, nell’ambito del settore pubblico. C’è una complessità di soggetti che a vario titolo sono impegnati nel supporto al sistema agricolo e agroalimentare: il ministero delle Politiche agricole, le Regioni, gli altri dicasteri, insieme ad una serie di strutture intermedie, ossia di soggetti che un tempo svolgevano una funzione pubblicistica, ma che oggi appaiono superate e rappresentano spesso solo un onere in termini di costi sulle aziende e di appesantimento burocratico, facendo perdere ancora una volta competitività ed opportunità di mercato alle imprese agroalimentari.
Altrettanto necessari appaiono poi gli interventi sul mercato del lavoro, cominciando dallo snellimento degli adempimenti amministrativi per la gestione dei rapporti di lavoro stagionali e di breve durata.
Infine, c’è la strada maestra delle aggregazioni, che è uno dei pilastri su cui fonda il cambio di rotta tracciato da Agrinsieme. Le imprese che operano nel comparto alimentare sono troppo piccole. La superficie media delle imprese agricole italiane non supera gli 8 ettari ed è tre volte inferiore a quella della Spagna (24 ettari) e molto di sotto a quella di Francia (54) e Germania (56). Anche questo costituisce un forte limite nel momento in cui proprio alla dimensione aziendale sono correlate una serie di elementi centrali per la competitività delle imprese, in primis le capacità finanziarie e di investimento e la possibilità di rispondere ai volumi richiesti da grandi piattaforme logistiche e distributive. Il tessuto produttivo dell’agroalimentare italiano è troppo frammentato ed è per questo che Agrinsieme punta su un’agricoltura che opera in logiche di aggregazione e di filiera, sia consolidate sia nuove.
Alcuni recenti dati elaborati dalla Commissione europea hanno dimostrato che nei Paesi in cui è maggiore la quota di mercato detenuta dalle cooperative agroalimentari, maggiore è anche il livello dei redditi degli agricoltori. In questo contesto, in Italia la cooperazione agroalimentare svolge un ruolo di primissimo piano con quasi 6.000 realtà, 35 miliardi di euro di fatturato e quasi 100.000 occupati, veicolando circa il 38% della produzione agricola nazionale.
“È da qui, da questo nuovo modello di agroalimentare proposto da Agrinsieme – ha concluso Guidi – che possono arrivare un forte impulso ed un contributo determinante per la ripresa economica e per il rilancio dell’intero sistema Paese”.