Alla scoperta del pomodoro riccio di Parma e del grano del miracolo

Marzo 2017

Cristian Calestani

PARMA – Ci sono i cereali – come il grano del miracolo, il gentilrosso, il terminillo e l’autonomia b –, la zucca cappello del prete e una trentina di varietà di pomodoro – tra le quali il più conosciuto è il pomodoro riccio di Parma – e poi ancora centinaia di varietà frutticole – come mele cotogne e prugne zucchelle – senza dimenticare le razze animali come il tacchino di Parma e Piacenza e la pecora cornigliese.

Sono solo alcune delle oltre mille tra varietà e razze locali riscoperte e valorizzate dall’Associazione allevatori e agricoltori custodi di Parma.

L’associazione – che ha la propria sede all’azienda sperimentale Stuard di Strada Madonna dell’Aiuto a San Pancrazio (Parma) – è nata ufficialmente, senza scopi di lucro, nel settembre del 2009, ma già dal 2005 aveva iniziato a muovere i primi passi nell’ambito di un progetto della Provincia di Parma dal titolo “Censimento e conservazione delle risorse genetiche locali di interesse agrario”, al quale collaborarono la Stuard, l’istituto scolastico agrario Bocchialini, la società Equa e l’Università di Parma.

Oggi all’associazione aderiscono un’ottantina di soggetti del Parmense e delle province limitrofe di Piacenza e Reggio Emilia: per metà si tratta di aziende agricole che, nella coltivazione delle varietà antiche e nell’allevamento di razze locali hanno trovato una forma di integrazione al reddito, e per l’altra metà, per lo più di hobbisti appassionati del settore.
L’obiettivo dell’associazione è quello di favorire iniziative finalizzate alla promozione della coltivazione di varietà frutticole, cerealicole, orticole o di promuovere l’allevamento di razze di animali tradizionali della provincia di Parma. In tutto questo l’associazione si impegna a valorizzare le identità, le idee e le esperienze di cui i soci sono portatori e a promuovere ogni forma di collaborazione e coordinamento con altre associazioni, organizzazioni, enti e istituti di ricerca, in un ampio discorso di salvaguardia culturale, ambientale e paesaggistica del territorio.

“In anni di ricerche e studi – spiega Cristina Piazza, segretaria dell’associazione – abbiamo conosciuto tante varietà. Molte le abbiamo riscoperte grazie ad agricoltori o hobbisti che le riproducevano nell’orto di casa, prettamente per consumo personale. Si è iniziato a metterle tutte insieme per caratterizzarle. Si è cercato di fare massa critica per far conoscere i risultati di queste ricerche e così nel 2009 si è formata una vera e propria associazione e si è iniziato a partecipare ad una serie di iniziative, come le fiere di settore, per far conoscere questi prodotti”.

L’associazione ha dato inizio ad un’importante attività di catalogazione ed il Manuale dell’agrobiodiversità parmense è stato il risultato di questi sforzi. “La riscoperta di antiche varietà e razze – continua Piazza – sta divenendo sempre più di moda e per molte aziende agricole ha rappresentato una valida forma di integrazione al reddito, se non addirittura la principale fonte di reddito. Ovviamente, se queste varietà nel corso degli anni sono state abbandonate, ci sono delle ragioni che non le rendevano più interessanti per la produzione su larga scala per il mercato. Per questo motivo si cerca di legare la loro riscoperta e valorizzazione ad aspetti di tipo culturale, rafforzando i fattori che legano il singolo prodotto al territorio e all’uso che storicamente ne veniva fatto”.

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