Nei giorni disastrosi dei nubifragi a ripetizione che hanno allagato e devastato la nostra buona terra sono tornati propizi anche gli stivali alla coscia dell’amico Tugnazz: quelli con le giarrettiere da agganciare alla cintura e con suola armata anti scivolo, ricordi di caccia di valle di ieri.
Tugnazz, previdentemente, li aveva ben conservati e difatti son tornati utili: li ha dati al giovane figlio d’un amico cesenate, uno dei tanti che ancora giorni dopo lo straripamento del Savio (uno dei nostri 23 tra fiumi e torrenti che sono esondati) aveva ancora un metro d’acqua melmosa al primo piano della casa paterna e un metro e mezzo nel garage. L’amico è venuto a prenderli con la nipotina: e poiché la “burdèla” un po’ di dialetto lo capisce perché lo parlano i nonni, Tugnazz le ha proposto un antico indovinello, per farla sorridere un po’: “Lunga lungagna/ la ven dalla muntagna/ la passa zò per e pièn/ la rogìa cume un chen”(lunga lunga, viene dalla montagna, scorre giù in pianura, urla come un cane). Cos’è? È la terribile fiumana che la nostra bimba ha visto per la prima volta, ma che i bambini d’altri tempi avevano avuto modo di vedere e di temere, anche dai discorsi di famiglia. Già intuendo un’amara verità che poi avrebbero ritrovato sui libri di scuola, studiando Leopardi: e cioè che la natura è nostra madre ma talvolta anche “di voler matrigna” (poesia La Ginestra). E in questi giorni terribili è tornata a raccontarlo agli smemorati.
E adesso non resta che tornare a rimboccarsi le maniche: per gli “j’accuse” scaricabarile c’è sempre tempo. Anzi, come dice Tugnazz ”chi è senza mira scagli la prima pietra”. L’unica mira giusta, e questo spetta ai decisori, è porre finalmente mano a un piano radicale di ricucitura d’un territorio idrogeologicamente più che fragile: priorità, cioè precedenza per la nostra Regione e per l’Italia intera.
ll Passator Cortese