Cresce l’industria del pomodoro nei mercati emergenti

Giugno 2014

Gaia Fiertler

MILANO – I consumi trainano l’industria del pomodoro, settore in forte crescita grazie a nuovi mercati di sbocco, come il Brasile, la Russia, l’India, l’Iran e il Sud-est asiatico, dove non c’è una tradizione delle conserve di pomodoro, ma iniziano a farne uso, con il Giappone in testa.

E se la Cina consuma ‘solo’ 300 grammi a testa all’anno, con il suo miliardo e mezzo di abitanti è il quarto Paese consumatore e, in una logica di incremento, potrebbe diventare importatore. Il Paese asiatico ha già raggiunto 3,8 milioni di tonnellate di prodotto, subito dietro i 4 milioni italiani nel 2013.

Aleggia questo ottimismo alla vigilia del World Processing Tomato Congress, presentato a Milano nei giorni scorsi, che si svolgerà dall’8 all’11 giugno a Sirmione, sul Lago di Garda, a pochi mesi dall’Expo.

“I consumi aumentano del 2,5% all’anno e i nuovi mercati di consumo sono bacini dal potenziale enorme”, afferma Guido Conforti, responsabile politiche di filiera di Aiipa – Associazione italiana industrie prodotti alimentari, che ospita il congresso insieme con Confcooperative-Fedagri.
Anche la produzione mondiale, che ha avuto una decrescita negli ultimi anni passando dai 42,3 milioni di tonnellate del 2009 ai 33,2 milioni del 2013, quest’anno dovrebbe attestarsi sui 38 milioni. Il futuro dell’industria di trasformazione del pomodoro, accanto ai temi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, sarà discusso all’appuntamento mondiale che torna in Italia dopo 20 anni (Sorrento 1993) e dopo l’edizione cinese di due anni fa.

L’Italia riveste un ruolo primario nel settore, in quanto secondo produttore e trasformatore mondiale (12,5%), preceduto dalla California con i suoi imbattibili 12,2 milioni (38%) e tallonato dalla Cina.
Nella classifica mondiale seguono la Turchia, la Spagna, l’Iran, il Brasile e il Portogallo.

Dopo un annus horribilis a causa di una primavera-estate piovosa, le previsioni per quest’anno sono di ripresa a doppia cifra per il Belpaese, con un +20% della produzione (4,8 milioni di tonnellate, secondo le stime di Amitom) su una superficie di 65- 67mila ettari (33mila piantine a ettaro), contro i 60 mila ettari dello scorso anno.

“L’incremento non è previsto solo per ettaro, ma anche per resa”, precisa Antonio Casana, vicepresidente Amitom, Association Méditerranèenne Internationale de la Tomate, organizzatore del congresso insieme con il World Processing Tomato Council. La principale area produttiva è l’Emilia Romagna con il 35% del terreno coltivato, seguita dalla Puglia con il 33%, dalla Lombardia con il 10% e dalla Campania con il 5%. La produzione è equamente divisa fra Nord e Centro-Sud. Al Nord è presente il distretto del pomodoro da industria – Nord Italia, organizzazione interprofessionale costituita dai soggetti della filiera nelle Province di Parma, Piacenza, Ferrara, Cremona, Mantova, Lodi, Alessandria e Pavia. L’industria italiana legata alla prima trasformazione sfiora per fatturato i due miliardi di euro, che arrivano a 2,5 con le successive fasi per la produzione di polpe, passate condite e sughi pronti. Il 44% della produzione è per il consumo interno (35 chili procapite all’anno, contro i 5,4 chili a livello mondo) e il 56% è esportato in tutto il mondo. Sugli effetti della Pac, la nuova Politica agricola comune, i rappresentanti della filiera chiedono di giocare ad armi pari con i competitor europei.

“Abbiamo chiesto al Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina di uniformarci a Spagna e Portogallo, dove i governi hanno già deciso di destinare una parte residuale del budget destinato alla salvaguardia delle filiere proprio alla produzione del pomodoro. Parliamo di 20-25 milioni di euro”, precisa Casana di Amitom.

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