Il tempo ha il passo felpato del gatto, passa che uno non se ne accorge. La giovinezza, che torna spesso a prenderci per mano, sembra ieri ma intanto crescono non solo i nipotini ma anche gli acciacchi, “boia di qua, boia di là”, litania di Tugnazz. Ma non c’è da intristirsi. Lo sa, meglio di altri, chi ha lavorato i campi e ha nel sangue il ritmo delle stagioni, nelle quali ogni cosa e ogni creatura hanno il loro tempo.
Più importante è la serena consapevolezza di avere fatto la propria corsa, insieme alla valenza della memoria che aiuta non solo a ricordare, ma a capire. Ad esempio: fino ai recenti anni cinquanta del secolo appena passato la Romagna (come altri territori) era laboriosa ma povera (soliti ricchi a parte). Fu il combinato disposto dell’agricoltura di qualità e della piccola impresa ad essa collegata (tecnologie del freddo, macchine per la lavorazione della frutta, per l’irrigazione ecc) a fare da volano per lo sviluppo, producendo quel po’ di benessere diffuso che ancora ci aiuta a vivere meglio, malgrado i morsi di una crisi persistente.
È cambiato anche il paesaggio agrario. Quando eravamo ragazzi la nostra fertile terra sembrava la canzone di Lucio Battisti: “fiori rosa, fiori di pesco”… Poi molti di quei pescheti vennero spiantati per far posto, ad esempio, all’agricoltura sementiera; e anche qui si sono raggiunti punti di eccellenza. Infine un sorriso, ricordando una delle belle sequenze del film di Fellini “Amarcord”. Quando il vecchio babbo, accompagnato dalla figlia va a vedere in piazza la “fogarazza”, la focarina, e indugia nella festa nella notte di primavera ancora fredda. E la figlia affettuosa lo sgrida perché teme che si ammali e gli ricorda le raccomandazioni del dottore. E allora il nonnino sbotta: “Tè (tu) dì al dottore che è un patàca…”.
Il Passator Cortese