In provincia di Forlì-Cesena l’agricoltura è “rosa” per 1 impresa su 5

Novembre 2014

Sono 7.812 le imprese agricole guidate da donne in provincia di Forlì-Cesena, dove più di una azienda su cinque (corrispondenti al 20,2% del totale) nelle campagne è in rosa. L’incidenza è in linea con quella regionale (20,4%), ma inferiore a quella nazionale (22,2%).

È quanto emerge dalle elaborazioni di Cia sui dati della Camera di commercio del giugno 2014. In provincia della Cia di Forlì-Cesena, dopo quello del commercio il settore agricolo è – sottolinea Mara Biguzzi, direttore di Forlì-Cesena – quello in cui la presenza femminile è maggiore tra le diverse attività economiche.

L’ingresso progressivo delle donne nell’agricoltura italiana è stato favorito dagli effetti della legge di orientamento (la numero 228 del 18 maggio 2001) fortemente sostenuta dalla Cia, che ha di fatto rivoluzionato l’attività d’impresa nelle campagne italiane aprendo nuove opportunità occupazionali.

La presenza innovativa delle donne è infatti più diffusa nelle attività connesse a quella agricola come la trasformazione dei prodotti, il settore dell’agribenessere, le fattorie sociali, il recupero di antiche varietà, le fattorie didattiche, gli agriasilo, la pet-therapy, fino al protagonismo delle donne nei mercati degli agricoltori, negli agriturismi o nelle associazioni per la valorizzazione di prodotti tipici nazionali come il vino e olio.

“Questa multifunzionalità, che è la caratteristica principale delle aziende agricole condotte da donne, genera più occupazione perché sviluppa attività particolari che si affiancano a quella principale per fornire un prodotto o un servizio particolare”, afferma Liliana Pedrelli, coordinatrice provinciale Cia di Donne in Campo. “La capacità di coniugare la sfida con il mercato, il rispetto dell’ambiente e la qualità della vita a contatto con la natura sembrano essere una delle principali ragioni della presenza femminile nelle campagne”.

Se in tv le trasmissioni sulla cucina abbondano, scarsa è l’informazione dedicata al cibo o all’agricoltura in generale e ancor meno si parla delle donne impegnate nel comparto, nonostante una azienda agricola su cinque sia diretta da una donna e oltre 400mila siano le lavoratrici occupate nel settore a livello nazionale. Non è un caso, quindi, che si stia affermando una nuova imprenditoria femminile basata sui profondi cambiamenti che le donne in agricoltura stanno attivando, forti della loro capacità innovativa e che è indispensabile valorizzare. A colpire non è tanto il il numero delle donne occupate in provincia e in Italia nel settore agricolo o che le imprese a conduzione femminile sono il 20%, piuttosto è quel 43% di donne che ruota intorno ad un’azienda agricola, forse contribuendo a vario titolo a quel dinamismo e capacità di innovazione che caratterizza il comparto.

Del resto le politiche agricole in Italia da anni non sono al centro dell’attenzione di un Paese in cui l’agricoltura rappresentava, nel 1960, il 20% della ricchezza del Paese e oggi è il 2%; in 50 anni la superficie agricola si è ridotta del 36% e le aziende agricole sono diminuite del 62%. Un Paese in cui un terzo degli intestatari di aziende sono over 65.

Questi dati fotografano i punti di forza (eccellenze, tradizioni, reputazione, sinergie tra cibo e territorio) e le fragilità (la frammentazione del tessuto produttivo, la distribuzione poco internazionalizzata, la difficoltà a fare sistema, leggi poco efficaci contro le frodi) del comparto. Le esperienze di “nuova agricoltura” producono beni e servizi ma anche benefici che travalicano il settore agricolo coinvolgendo il territorio e innescando contaminazioni positive nel benessere collettivo. Il contributo dell’agricoltura al modello di sostenibilità nel contesto economico è eccezionale e innovativo come nessun altro comparto produttivo. Parliamo di un’impresa agricola che modella e costruisce il paesaggio a seconda di come decide di investire e coltivare; alla produzione alimentare quale caposaldo si aggiungono servizi ambientali e ricreativi (agriturismo) o dedicati  all’istruzione (fattorie didattiche).

Mara Biguzzi sottolinea che “l’agricoltura rappresenta un unicum che si declina in ambiente, valore delle aree rurali, culture, tradizioni, alimentazione, Pil, economia. Importante tenere presente il tutto con le varie sfaccettature e parlare di agricolture e di mercati al plurale. C’è bisogno di competenze e di una rappresentanza adeguata e la necessità di integrarsi, superando conflittualità, complessità e miopie”.

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