La domanda crescente ‘spinge’ la coltura del nocciolo

corileto

Claudio Ferri

DALLA REDAZIONE – La corilicoltura, semisconosciuta nell’areale emiliano romagnolo come pianta arborea da reddito, ormai è uscita dai confini hobbistici ed ha assunto un ruolo di rilievo nelle campagne dell’Emilia Romagna. 

Il nocciolo è una coltura che storicamente è diffusa in Turchia, ma che ha avuto sviluppi in altre parti d’Europa, Italia compresa, e del mondo. 

Piemonte, Campania, Lazio e Sicilia sono le Regioni a più alto investimento, ma da alcuni anni ha preso piede anche in Emilia Romagna, un impulso che viene dalla richiesta in forte crescita supportata anche da contratti con le industrie di trasformazione. A investire su questo comparto è la cooperativa Terremerse, di Bagnacavallo (Ravenna), che circa due anni fa ha predisposto un progetto per diffondere la coltura puntando sul suo sviluppo nel territorio romagnolo, e non solo, tant’è che a tutt’oggi sono circa un centinaio gli ettari investiti a noccioleto.

“Abbiamo avviato con Ferrero questo progetto per creare la prima filiera di qualità, tracciabile e 100% italiana di nocciolo, nelle regioni maggiormente vocate per questa coltura come Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto – spiega Marco Babini, responsabile del progetto -. La corilicoltura è una valida opportunità per l’imprenditore agricolo perché permette di aderire a un contratto di coltivazione pluriennale che offre stabilità e sicurezza del reddito nel tempo, riducendo i rischi della volatilità dei prezzi. Inoltre, l’industria dolciaria italiana è sempre più alla ricerca di prodotto nostrano e l’italianità della nocciola è quindi un plus’ riconosciuto e di valore”.

Tra i vantaggi del nocciolo, i tecnici di Terremerse ricordano il contratto di coltivazione pluriennale “che mette al riparo dalla volatilità dei prezzi” 

Le migliori varietà coltivate in Italia hanno tutte origini autoctone e non sono d’importazione come è accaduto, invece, per altri frutti a guscio come il noce, le cui cultivar sono prevalentemente di origine statunitense, e il mandorlo, dove sono state messe a dimora varietà spagnole.

“Il clima è cambiato, le precipitazioni sono in calo e il nocciolo è fra le colture arboree con la minor necessità di acqua – aggiunge Babini -. Rimane comunque fondamentale installare impianti d’irrigazione a goccia, soprattutto in annate come il 2022. Inoltre, c’è carenza di manodopera e questa è tra le piante da frutto più meccanizzate, con la possibilità di utilizzare alcuni mezzi già esistenti in azienda”. Tra i vantaggi del nocciolo, Terremerse ricorda il contratto di coltivazione pluriennale “che mette al riparo dalla volatilità dei prezzi”, dice ancora Babini. 

Un altro vantaggio segnalato dalla coop è il basso impiego di agrofarmaci che la coltura richiede”. Oltre ai minor costi per la difesa, occorre considerare la prospettiva di una drastica riduzione dei principi attivi impiegabili in agricoltura imposta dal Green Deal europeo – sottolinea il tecnico di Terremerse – mentre colture come il nocciolo, che hanno esigenze molto più limitate, risultano essere sempre di più semplice gestione”.

I campi di nocciolo rappresentano inoltre una ‘macchia’ di colore alle campagne. “Non va trascurato l’aspetto paesaggistico che conferisce il corileto – osserva infine Benedetta Galletti, dello staff tecnico di Terremerse – inoltre, specialmente quando le piante hanno 5-6 anni, sono una importante pianta che contribuisce alla sottrazione del carbonio”.

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