Claudio Ferri, direttore Agrimpresa
Che i mercati fossero volatili è ormai un assioma, ma ora la tempesta ha assunto una forza tale da rendere assai difficile la navigazione. Negli ultimi mesi convivono diverse situazioni che si sovrappongono e creano un accumulo ‘tossico’ per le imprese agricole, difficile da smaltire.
Conflitto in Ucraina, prima ancora la pandemia, poi ancora le condizioni climatiche avverse, il rincaro dei costi energetici: tutti fattori concatenati che moltiplicano i disagi, si ripercuotono sulla produzione ed abbattono i redditi.
Lo scenario della situazione descritto su Agrimpresa da Giovanni Alamanni di Aretè (vedi lo sfogliabile a pagina 5) non è certo roseo e affronta in modo dettagliato le dinamiche di cereali e oleaginose di cui siamo abbondantemente dipendenti da altre nazioni produttrici. La guerra in corso in Ucraina è l’elemento centrale e condiziona pesantemente gli scambi ed i prezzi di mercato di colture e mezzi tecnici. È in questo difficile contesto che le imprese sono immerse, imprigionate tra scelte colturali e vincoli tecnici che comportano costi e incertezze dei risultati produttivi ed economici.
È difficile uscirne illesi, dove l’unica certezza è l’incertezza.
Anche l’inosservanza delle regole europee si aggiunge ad una situazione gravosa: l’Ungheria, infatti, ha bloccato l’export di cereali e l’Italia ne paga le conseguenze in quanto forte importatrice di mais e frumento.
Si dice che i momenti di difficoltà generino idee e diano slancio a proposte utili per superali, questo almeno è avvenuto in passato di fronte a situazioni di criticità e, probabilmente, questo frangente dovrà essere da stimolo per affrontare il futuro. Allontanarci da una diffusa globalizzazione, o abbandonarla come alcuni ipotizzano, è impensabile, è un’ipotesi non aderente alla realtà.
Tuttavia, ripensare ad un modello produttivo che sia meno dipendente dall’estero e che favorisca anche economicamente le produzioni locali è possibile.
È un percorso che deve prendere origine da una discussione in ambito europeo e che devono raccogliere gli Stati membri, Italia in testa. Vanno ripensate e indirizzate le strategie produttive, accompagnate da garanzie minime di remunerazione e che rispondano ai bisogni del Paese.
Il fattore energetico è altrettanto importante e serve definire una politica più attenta, a partire dall’implementazione del fotovoltaico che ben si presta ad essere installato sugli edifici rurali, fino alla chiara definizione delle fonti energetiche prodotte dai biodigestori: se utilizzano deiezioni e scarti delle lavorazioni dell’agroalimentare sono sostenibili, anche dal punto di vista etico. Se, invece, a comporre la biomassa sono i preziosi cereali qualche dubbio solleva tra agricoltori e consumatori.