Molto di più di un amarcord. Per sommi capi, in questo breve spazio, la storia di una rinomata azienda di trasformazione di ieri, l’Arrigoni, che si incrocia con la lotta decisiva della Resistenza che oggi, chissà perché, più d’uno vorrebbe dimenticare. Anni Trenta del secolo scorso.
Dalla casa madre di Trieste scendeva in Romagna, a Cesena, l’Arrigoni, rinomata allora per le sue marmellate, per gli ottimi pomodori pelati in scatola. E per “la julienne” (rinominata “la Giuliana”): ovvero minestrone precotto ed essiccato, da far rinvenire nell’acqua bollente.
Non solo cibi. Le operaie e gli operai dell’Arrigoni furono in prima fila negli scioperi che dimostrarono il tragico “bluff” della repubblichina sociale di Salò. Riuscirono a salvare gran parte dei macchinari dello stabilimento di Cesena dalla furia predatoria dell’esercito tedesco in ritirata. Salvarono e protessero, dentro la fabbrica, partigiani e gappisti ricercati dai nazifascisti. E, come spesso capita, ci furono storie umane straordinarie dentro la grande storia.
Come quella di Bruno Sanguinetti, il figlio del padrone Giorgio Sanguinetti, che in quegli anni duri e difficili fece una non scontata scelta di campo, intellettuale e comunista, nei gruppi della Resistenza di Firenze e di Roma. Per questo, quando la prima giunta comunale di “Cesena Libera” rinominò piazze e vie cittadine nel segno dei protagonisti della libertà ritrovata, il piazzale di fronte alla stazione di Cesena – la fabbrica un tempo era lì – restò (e tale oggi rimane) “Sanguinetti”. C’è un buon libro, nelle biblioteche, per chi vuol saperne di più: “La storia di Bruno”, scritto dalla figlia Paola Sanguinetti.
Il Passator Cortese