Purgatorio, nel girone dei golosi: in compagnia di Dante

In questi nostri tempi di partiti e partitini anche in campo alimentare (vegetariani, vegani, crudisti, sussisti, no-carb, ecc.) Tugnazz ed io, franchi bevitori, ci attestiamo sui classici. Abbiamo quindi riletto i canti XXIII e XXIV della Divina Commedia dove Dante pone numerosi golosi: in Purgatorio, mica all’Inferno, essendo evidenti le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.

Un paio di quelle storie, a loro modo esemplari. C’è persino un papa, medioevale e pappatore, tra i golosi: ”ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:/dal Torso fu, per purga e per digiuno,/l’anguille di Bolsena e la vernaccia” (Purg. XXIV, versi 21- 24). Costui era Papa Martino IV, francese (da Tours, quindi dal Torso), combattivo e anche goloso. In particolare – raccontano antiche cronache – di anguille annegate nel vino, arrostite e benedette di rosmarino. Nell’anno 1285 papa Martino, dopo aver cantato messa a Perugia, fece una tale abbuffata di anguille cucinate nel modo suddetto da non riuscire a smaltirle. In capo a quattro giorni spirò (niente è veleno tutto è veleno, dipende dalla dose, sostiene Tugnazz). Passiamo ai bevitori, condannati ad una grande arsura. Come Messer Marchese da Forlì (stesso canto, versi 30-33). Si tratta del marchese degli Argogliosi, podestà in Faenza nel 1296, governatore non cattivo, ma beone di lungo sorso. Una volta, annota in latino Bentivoglio da Bologna quel podestà chiese al suo cantiniere cosa pensassero di lui i cittadini. Sincera la risposta: “Messere, dicono che beviate molto”. Fulminea la replica. “E perché non dicono che ho molta sete?”. Il sangue romagnolo non è acqua. Difatti, in romagnolo “e bè”, il bere, vuol dire vino. Non acqua. Ma soltanto perchè l’acqua, in passato, era poco potabile. Il Passator Cortese

Il Passator Cortese

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