Raccolta dell’Abate: confermate le stime con cali produttivi oltre il 60%

Erika Angelini
FERRARA – La raccolta dell’Abate si avvia alla conclusione e le stime produttive che vedevano cali oltre il 60% appaiono ampliamente confermati dalla realtà in campo. L’allarme e la disaffezione tra i produttori sono palesi, data l’impossibilità ormai da alcuni anni non solo di fare reddito, ma di coprire i costi di produzione, tanto che non si fermano gli estirpi in tutti gli areali produttivi. In questo contesto è difficile trovare una nota positiva, se non quella del prezzo che, mancando il prodotto è ovviamente interessante.
Tra i produttori che sono riusciti a raccogliere una parte di prodotto c’è Jennifer Felloni, frutticoltrice di Tresignana, che spiega: “Voglio subito fugare ogni dubbio: il fatto che siamo riusciti a raccogliere circa il 40% dell’Abate non vuol dire che la campagna è andata bene. Significa solo che siamo stati leggermente meno sfortunati di quelli che, invece, sono stati colpiti in maniera più dura da gelate primaverili e grandine e si sono ritrovati all’epoca della raccolta con danni fino al 100%. Nella mia azienda, ma è una tendenza riscontrata anche parlando con tecnici e altri produttori, il calo produttivo generale è stato dunque di circa il 60%, visto che solitamente avevo una resa media di 250 q/ha e ora siamo a poco più di 100 quintali. Parlando delle caratteristiche qualitative dell’Abate che siamo riusciti a raccogliere posso dire che innanzitutto ci sono differenze anche da un ettaro di frutteto all’altro della stessa azienda, semplicemente perché alcuni erano più riparati e hanno sofferto meno le gelate o perché i chicchi di grandine non sono riusciti a sfondare le reti di protezione. I calibri sono discreti, le pere sono sane perché la cimice, almeno sull’Abate, ha colpito pochissimo ed anche la maculatura nella mia azienda è stata piuttosto contenuta.
Naturalmente c’è anche un’alta percentuale di scarto, che ci aspettavamo vista l’annata climatica, ma per fortuna viene comunque quotato dalle strutture di conferimento fino a 0,40 euro/kg visto che le pere idonee alla commercializzazione sono davvero poche. Rimanendo in tema di prezzi, le pere con calibro oltre i 60 sono pagate attorno a 1,70/1,80 euro, mentre per i calibri da 55+ siamo a 1,50-1,60 euro/kg. Prezzi che, visti i cali produttivi, non riusciranno comunque a coprire i costi fissi di produzione, dai trattamenti alla manodopera, che sono ancora decisamente sostenuti.
In questa congiuntura di profonda crisi, generato soprattutto dai cambiamenti climatici, diventerebbe essenziale installare i dispositivi antibrina per proteggere il prodotto dalle gelate. Ma come possiamo pensare di fare degli investimenti se non riusciamo neanche sostenere i costi produttivi? Andare in banca a chiedere un finanziamento con questi tassi di interesse è insostenibile per un giovane agricoltore che si trova, quindi, a dover scegliere tra andare ancora più in rosso oppure estirpare e poi capire se c’è un’altra coltura che può dare qualche soddisfazione dal punto di vista produttivo e reddituale. Una scelta davvero amara perché significa rinunciare al patrimonio frutticolo sul quale era basata buona parte dell’economia agricola del territorio e che, a mio avviso, varrebbe ancora la pena di salvare e rilanciare.
Però, come abbiamo già detto in diverse sedi anche a livello di associazione, i frutticoltori non possono farcela da soli, hanno bisogno di strumenti di sostegno per affrontare quella che, ormai, è una crisi della pericoltura che sta diventando irreversibile”.