Miele, disparità produttiva tra regioni e areali

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Alessandra Giovannini


Castel San Pietro Terme (Bologna) – “Il 2025 si conferma un anno di forti contrasti per il miele italiano – dice Giancarlo Naldi (nella foto piccola), direttore dell’Osservatorio Nazionale del Miele con sede a Castel San Pietro Terme -.  Da un lato ci sono i numeri record della 45ma edizione del Concorso Tre Gocce d’Oro, Grandi Mieli d’Italia che si è svolto a Castel San Pietro Terme a settembre e che ha visto la partecipazione di 599 apicoltori e quasi 1.800 campioni provenienti da tutta Italia, ma dall’altro ci sono le difficoltà di un comparto che continua a vivere una condizione di vulnerabilità produttiva e di incertezza economica”.

Nel 2025 l’Osservatorio Nazionale del Miele ha realizzato un monitoraggio intervistando oltre 400 aziende apistiche. L’indagine ha interessato circa 168.000 alveari, pari al 13% degli alveari commerciali italiani, distribuiti in 93 province. “Dai primi risultati emerge una parola chiave – prosegue Naldi –, variabilità. La produzione ha, infatti, mostrato oscillazioni significative non solo tra Nord e Sud, ma persino tra territori contigui. Se alcune aree del Nord hanno vissuto una stagione positiva, il Sud resta in sofferenza, con la Sicilia particolarmente penalizzata e il miele di agrumi ancora su livelli molto bassi. In Emilia Romagna, per l’Acacia buone punte di produzione, in particolare, nelle colline piacentine, per il Tiglio, fioritura bella ma di breve durata a causa del caldo, con raccolti contenenti nettari di altre fioriture e melata, per il Castagno, rese inferiori alle attese ma con alcune punte produttive. Sul piano produttivo complessivo il 2025 consente, dunque, di tirare un moderato sospiro di sollievo, ma restano forti i timori sul mercato.

Numeri da record al concorso “Tre Gocce d’Oro”, ma il mercato resta in bilico

“L’Italia – dice ancora Naldi – produce in media circa 23.000 tonnellate di miele l’anno, per un valore stimato attorno ai 150 milioni di euro, ma i costi di produzione interni oscillano fra i 9 e i 10 euro al chilo, mentre miele importato dall’Est Europa e dall’Ucraina continua ad arrivare sul mercato italiano a meno di 2 euro al chilo. Una forbice che rischia di mettere in ginocchio gli apicoltori, soprattutto in un contesto di consumi stagnanti e margini sempre più compressi”.

Ma come si può rilanciare l’apicoltura? “È una sfida per i prossimi anni – dice ancora Naldi -. Occorre capire come affrontare il cambiamento climatico e bisogna anche proteggere il nostro miele dalla concorrenza estera con politiche di valorizzazione. Un patrimonio fondamentale della biodiversità e della cultura agricola del Paese che noi promuoviamo anche sviluppando il suo uso in cucina, anzi, nell’alta cucina. Hanno un gran successo il concorso gastronomico per i ristoratori della zona di Castel San Pietro Terme e dintorni, il concorso nazionale dedicato agli Istituti Alberghieri italiani, le pubblicazioni delle ricette con ingrediente il miele. Il nostro prodotto è di alta qualità e può trovare anche sbocchi in altri Paesi, la Cooperativa di Monterenzio, Conapi che esporta il miele in Giappone ne è un esempio ma, certo, è difficile. E se da un lato ci sono i successi dell’export, dall’altro leggiamo del sequestro di tonnellate di miele “falso bio” detenuto da una ditta italiana e provenienti da un’azienda dell’Est Europa che si occupava della produzione e confezionamento. Ma certo non ci scoraggiamo e invitiamo i consumatori a mangiare miele italiano, certificato e prodotto dai migliori apicoltori”.

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