Cia Ferrara: “Non è un paese per giovani”

La variabile che preoccupa maggiormente le aziende agricole all’avvicinarsi del nuovo anno si chiama PAC (Politica Agricola Comune) che cambierà nel 2023 e stravolgerà il sistema di incentivazione europea al settore primario. Cia-Agricoltori Italiani Ferrara è preoccupata per la tenuta del sistema agricolo ferrarese, anche alla luce dei dati diffusi dalla Camera di Commercio di Ferrara che raccontano di una provincia dove le imprese agricole sono il 15,6% (5 punti in più rispetto alla media italiana) e, insieme alle attività di pesca – acquacoltura e all’industria di trasformazione superano il 22%.

Inoltre, gli impiegati in agricoltura rappresentano il 7,1% dell’occupazione totale, quota tra le maggiori del Nord Italia e superiore al dato medio regionale e nazionale. Ferrara rimane, dunque, una provincia a forte vocazione agricola, peccato però, sottolinea l’associazione, che dal 2010 hanno chiuso oltre duemila aziende – si parla di oltre 3 milioni a livello nazionale – e che la percentuale di aziende condotte giovani under 35 sono una piccola percentuale, appena il 3,1% e, a contrario, gli anziani titolari di un’attività di produzione primaria sono 29 su 100. Uno spaccato che, secondo il presidente di Cia Ferrara, Stefano Calderoni, potrebbe aggravarsi proprio con l’entrata in vigore della nuova politica di incentivi europei che in passato hanno assicurato, almeno in parte, la tenuta del sistema.

L’associazione è preoccupata per un nuovo anno pieno di incertezze sulla distribuzione dei fondi europei della PAC che potrebbe bloccare completamente il ricambio generazionale

“Da anni si sta parlando di un ritorno dei giovani al settore agricolo – spiega Calderoni – dipingendo quadri “bucolici” di vita in campagna che però sono solo eccezioni. In realtà i numeri raccontano una storia diversa: aziende storiche con i conti perennemente in rosso e ragazzi che vorrebbero provarci ma non riescono accedere alla terra o si rendono conto che non c’è marginalità. E ora arriva anche una nuova PAC che non soddisfa minimamente i produttori. Nel corso dei molti incontri organizzati sul territorio per spiegare alle nostre aziende cosa le aspetta quest’anno ho visto molta incertezza e preoccupazione, del tutto giustificate. I fondi europei servono agli Stati per incentivare e garantire la produzione di cibo, che ricordo è un bene primario e hanno sempre avuto un ruolo importante per le aziende che ricevono un premio, una quota per ettaro (i cosiddetti titoli) che aumentavano anche in base al tipo di coltura e alla sua specializzazione.

Senza entrare in un meccanismo di calcolo complesso, basti sapere che dal 2023 il premio sarà pressoché dimezzato e che per arrivare vicino ai livelli di questi anni, l’azienda agricola dovrà impegnarsi per attuare le cosiddette misure ambientali: set-aside ed ecoschemi. Voglio precisare che non siamo contrari alla sostenibilità ma non può essere solo a carico delle aziende. Un esempio: un orticoltore che coltiva sui terreni sabbiosi del Mezzano che richiede la Pac dovrà lasciare il 4% dei terreni a set-aside – la cosiddetta messa a riposo – che entreranno in rotazione e non potranno più essere solo in zone marginali.

Oltre a questo, per avere un premio maggiore, dovrà applicare una misura ambientale, (ecoschemi) come quella che prevede di destinare una quota di terreno alle piante impollinatrici. Il risultato è una perdita di superficie coltivabile sulla quale l’agricoltore paga un affitto che per i terreni sabbiosi arriva a 2000 euro all’ettaro, a fronte di un incentivo di 200. Se poi è un giovane agricoltore a decidere di coltivare orticole la situazione diventa insostenibile: un ettaro di terreno vale circa 80 mila euro, l’affitto è oltre i duemila e il neo-agricoltore non ha titoli Pac – quindi si porta a casa quelli dello Stato, che sono 170 euro a ettaro – poi deve fare il set-aside e gli ecoschemi. Magari potrà acquisire qualche agevolazione dai Psr, ma comunque si tratta di condizioni iniziali proibitive che bloccheranno inesorabilmente il ricambio generazionale e avranno un impatto economico enorme anche sulle aziende già avviate, di tutti i comparti.

Recentemente – conclude Calderoni – il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, visti i dati preoccupanti sulle aziende chiuse negli ultimi dieci anni ha parlato di risorse per la Pac inadeguate, che potrebbero essere riconsiderate tra un anno. E ha affermato che “Per investire sul futuro, le aziende devono essere redditizie”. Ha scoperto l’acqua calda, verrebbe da dire, perché nessuna azienda sana può permettersi di essere perennemente in rosso e di non avere marginalità, come sta capitando da molto, troppo tempo, alle aziende agricole. Quindi la speranza è che dopo un anno che forse in Europa considerano “di prova” ci sia un deciso aumento delle risorse per la Pac e i Piani di Sviluppo Rurale e un sistema di incentivazione che tenga conto delle esigenze di produttività e marginalità delle aziende”.

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