Economia rosa: oltre alle quote c’è di più

Settembre 2015

Mara Biguzzi

In un articolo apparso sul Financial Times, Stefan Stern si interroga sull’effettiva persistenza del famoso “glass ceiling”, il soffitto di vetro simbolo del gender gap, che impedirebbe alle donne di ricoprire ruoli apicali. Stern la considera una metafora “fuorviante”: non si tratta di un soffitto, ma di un labirinto entro cui si costruiscono molte carriere al femminile.

L’idea di soffitto semplifica ma non chiarisce: evoca una mera barriera da superare per sfondare il tetto del successo. Quali sono dunque le cause e che tipo di misure servono per sbrogliare il filo che impedisce al gentil sesso di uscire dal labirinto? Ma, prima ancora, quali progressi sono stati fatti negli ultimi anni? Come è noto, la questione “parità” è finita in fondo all’agenda politica durante la crisi, per poi riacquistare rilevanza nel passato recente. In Italia, l’insediamento del governo Renzi, con la nomina di 8 ministri donna su 16, ha fornito occasione per tornare a discutere sul tema.

A livello continentale il Parlamento europeo si è espresso sull’argomento nella relazione sui progressi in materia di uguaglianza tra donne e uomini nell’Ue approvata lo scorso 10 marzo, chiedendo che la dimensione di genere sia integrata nella strategia Europa 2020 e che istituzioni Ue e Stati membri tengano conto delle questioni di genere, dei diritti delle donne e delle pari opportunità nell’elaborazione delle loro politiche, in particolar modo nell’applicazione dei programmi e delle azioni dell’Ue. Dato l’effetto negativo della crisi sulla gender equality, il Parlamento europeo ha inoltre promosso alcune misure atte a riformare la legislazione in materia di maternità e quote rosa nei board nelle aziende quotate. Lo scopo di quest’ultima proposta di direttiva è aumentare il numero di donne sedute nei Consigli di amministrazione, con un obiettivo minimo del 40% e obbligare le aziende che non raggiungono tale soglia a chiarire pubblicamente i criteri di selezione.

Dopo le rimostranze di alcuni paesi dell’Unione e due anni di negoziazioni, durante il semestre di presidenza italiana, il Consiglio ha aggiunto al testo una clausola di flessibilità. Gli Stati potranno dunque utilizzare altri strumenti, purchè raggiungano l’obiettivo. Da un recente report della Commissione europea sulla parità di genere emergono diverse priorità su cui l’Europa deve prestare attenzione, in primis il problema occupazionale: in media le donne vengono pagate il 16.4% in meno e solo il 20.2% siede nei board decisionali. Le soluzioni auspicate comprendono la riduzione del gender gap in termini stipendiali, la definizione di nuovi target occupazionali nei programmi nazionali di riforma, l’attuazione di politiche proattive che combattano gli stereotipi e incoraggino carriere in campi scientifici. Inoltre, secondo le raccomandazioni, per promuovere l’uguaglianza è indispensabile una maggiore rappresentanza femminile in posizioni apicali nei campi della politica e dell’economia.

Infine, è da notare che il raggiungimento di standard occupazionali più elevati è avvenuto anche grazie al lavoro part-time che ha sì aumentato le opportunità di partecipazione attiva al mercato del lavoro, ma con effetti negativi su salari e pensioni delle donne. Sono dunque necessarie politiche che bilancino questi due aspetti della vita lavorativa e incoraggino la condivisione delle responsabilità familiari tra uomo e donna. Per ognuno dei punti appena elencati l’Italia ha mosso i primi timidi passi, migliorando la propria posizione nell’Egi, European gender index (40,9% di uguaglianza, contro il 54% Ue), passando dal 72 esimo posto nel 2006 al 37 esimo posto. Significativo il progresso delle “quote rosa” nelle posizioni politiche apicali, segnale importante per un governo che ha fatto dell’attenzione alla “questione femminile” la propria bandiera. Nonostante l’Italia rimanga in fondo alla classifica dei paesi europei per tasso di occupazione femminile (47%, terzultima in Europa), va segnalato un primato del nostro paese per presenza femminile nei board decisionali: insieme alla Francia, l’Italia è lo stato europeo che ha registrato l’incremento più consistente di presenza femminile nei Consigli di Amministrazione, passando dal 6% al 23% (fonte: Lavoce.info).

L’aumento significativo è dovuto all’applicazione di una legge del 2011, la legge Golfo-Mosca, che fissa l’obbligo di quota di genere (20% al primo rinnovo e 33% al secondo) nei CdA e nei collegi sindacali per società quotate e a controllo pubblico per un periodo di tre mandati. Uno studio del dipartimento per le Pari Opportunità e dell’Università Bocconi ha mostrato come la legge Golfo-Mosca possa diventare un modello a livello comunitario, avendo comportato, insieme all’aumento del numero di donne in posizioni apicali, anche un miglioramento della qualità della governance. L’istruzione infine è un fattore fondamentale, utile a spiegare alcune delle componenti del gender gap. Se infatti le donne hanno una performance scolastica più alta (si veda lo studio Women and Education in the Ue), rimane invece molto bassa la percentuale femminile nei settori scientifici (Stem), su cui la strada è ancora in salita. Ciò è dovuto a distorsioni culturali che distolgono le donne dallo scegliere materie di studio viste come “maschili”. È quindi importante investire in campagne contro la stereotipizzazione dei generi, tematica di cui, nonostante le spinte europee, gli Stati membri non sembrano aver colto l’importanza. Per la ripresa economica bisogna puntare su science, tech, engineering and math: perché fare a meno del talento di donne che possono trainare questi settori con la stessa brillante preparazione con cui siedono nei board decisionali? Sarebbe un peccato per la crescita del nostro paese se il talento e la stoffa di giganti rosa della scienza come Rita Levi Montalcini e Margherita Hack rimanessero solo delle comete.

Abbiamo bisogno di più Fabiola Gianotti, Samantha Cristoforetti e tutte le altre donne che quel soffitto di vetro lo hanno sfondato davvero, con determinazione e preparazione. Le quote rosa in agricoltura ci sono già. A dare una spinta alla nascita e soprattutto allo sviluppo di attività innovative sono state infatti le imprenditrici. Un comune denominatore di tutti i settori e che coinvolge in particolar modo l’agricoltura. Sulla base degli ultimi dati Unioncamere sulla nati-mortalità delle imprese si rileva che nel sistema produttivo italiano oggi una impresa su quattro è condotta da donne (23,5 per cento).

La maggioranza delle imprese femminili opera nel commercio (circa il 30%), ma una forte presenza si registra con oltre il 16% in agricoltura, nei servizi di alloggio e ristorazione (quasi il 10% e nel manifatturiero (8%). Nel settore agricolo è condotta da una donna una impresa su tre.

Intraprendenti, preparate e con un’attenzione particolare alla multifunzionalità. Sono le signore dell’agricoltura italiana, le vere protagoniste di un settore in costante evoluzione, che può diventare un asset strategico del rilancio economico. Le donne nei campi, infatti, sono sempre di più impiegate come manodopera specializzata o si pongono con successo alla guida delle imprese, in particolare agrituristiche. Sono lontani anni luce i tempi delle mondine, che lavoravano nelle risaie vercellesi, un mestiere duro e negletto che venne reso celebre dalla prorompente bellezza di Silvana Mangano in ‘Riso amaro’. Oggi la mondina parla cinese e ormai sono un vecchio ricordo le operaie della manifatture tabacchi. Negli ultimi anni la componente femminile nei campi è cambiata e di molto, tanto che, una impresa su tre oggi è guidata da donne, con 532.000 conduttrici di aziende agricole.

Consistente è anche la ‘quota rosa’ degli occupati pari al 40%. Inoltre, secondo i dati che emergono dall’ultimo censimento Istat, su 11 milioni di persone che vivono nelle aree rurali il 51% è costituita da donne. In Italia lavorano 1,3 milioni di donne in agricoltura, quasi il doppio della Spagna dove risultano 660.000 mentre in Francia e in Germania sono circa 340.000 (dati Eurostat). Ma quale è l’identikit delle donne che conducono le aziende agricole? Prevale la fascia d’età più anziana ma le più giovani sono molto più dinamiche. Le imprenditrici tra i 60 e i 74 anni rappresentano, in percentuale, la fetta più consistente, con il 32% di aziende, il 25,3% di Sau (Superficie agricola utilizzata), ma le under 30, che rappresentano solo l’1,7% del totale delle aziende ‘rosa’, riescono a utilizzare meglio la terra. E i dati lo dimostrano: il valore della produzione standard media aziendale è il più alto raggiungendo i 36.869,66 euro contro i 10,900,73 euro delle ‘colleghe’ under 60 e gli 8.598,52 euro delle over ‘75.

Di poco inferiore il valore realizzato dalle imprenditrici con età dai 30 ai 40 anni con 32.784,19 euro. Dunque, le imprese più giovani, sembrano più orientate al mercato e ad una maggiore diversificazione delle proprie attività produttive anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi e gestionali che determinano una maggiore efficienza nell’uso delle risorse. Le laureate sono appena il 6%, mentre possiedono un diploma di scuola il 18% ma a fronte di una classe imprenditoriale con titolo di studio medio-alto, si rileva un 6% di analfabetismo. Bassa è anche la percentuale di imprenditrici straniere pari allo 0,33%. Negli ultimi tempi molti dei principali organi d’informazione hanno dato ampio spazio alle storie, alle esperienze e ai successi conseguiti dalle donne imprenditrici agricole in un settore ancora fortemente “maschile” e in un momento di grande difficoltà per l’economia e per il mondo del lavoro. L’azione mediatica ha trovato il suo fondamento nei dati del 6° Censimento dell’agricoltura e dell’Unioncamere che hanno posto in evidenza una crescita del numero delle imprese condotte dalle donne e fornito elementi per porre in evidenza la loro capacità di gestione e di adattamento ai cambiamenti. Tuttavia, è necessario evidenziare che i successi conseguiti dalle donne conduttrici agricole sono il frutto di un lento cammino finora portato avanti senza il supporto di specifici interventi rispondenti ai loro fabbisogni imprenditoriali.

Le politiche di sviluppo rurale finanziate dall’Unione europea rappresentano per l’imprenditoria agricola l’opportunità di accedere a interventi pubblici finalizzati a promuovere l’ammodernamento strutturale delle aziende, la diversificazione economica dei territori rurali, il miglioramento della qualità della vita e la tutela e valorizzazione delle risorse ambientali. Pur promuovendo in linea di principio l’abolizione dell’ineguaglianza e la promozione delle pari opportunità fra uomini e donne, la programmazione e l’attuazione degli interventi hanno fino a ora dimostrato una scarsa attenzione nei confronti delle donne. E questa “disattenzione nei fatti” si palesa anche nelle bozze del Programma di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Emilia Romagna che non contempla nessuna azione specifica per sviluppare l’imprenditoria femminile nel settore: dal nuovo Assessore Simona Caselli aspettiamo un segnale importante!

Cia con l’Associazione Donne in Campo, nata nel 1999, che è componente della Confederazione italiana agricoltori opera in maniera fattiva per l’integrazione di genere nel settore agricolo, fattore chiave per uno sviluppo rurale sostenibile e per adeguare in tal senso la legislazione: attraverso gruppi attivi di imprenditrici e funzionarie promuove l’imprenditorialità femminile, sostiene reti di donne, assiste e forma modelli o alleanze di imprenditrici e organizza iniziative miranti a migliorare lo spirito imprenditoriale, la professionalità e la sicurezza delle donne nelle zone rurali e favorirne l’inserimento negli organi direttivi di imprese e associazioni. Sviluppa intese e collaborazioni con le associazioni femminili del mondo agricolo, del mondo imprenditoriale, dei settori economico e sociale, con particolare riferimento a quelle delle piccole e medie imprese a livello territoriale, nazionale ed internazionale. Ma soprattutto elabora una “visione” di genere dell’agricoltura italiana e del suo sviluppo, dello stato dei territori e delle culture rurali in un’ottica di preservazione e innovazione della straordinaria cultura agro-alimentare italiana. Oggi l’impegno dell’Associazione è impegnata a costruire “reti” di imprenditrici agricole per tessere relazioni tra le aziende e costruire comunità.

Inoltre Cia, ha previsto nei sui Principi statutari fondamentali “l’impegno a realizzare nella società e nell’economia le pari opportunità tra donne e uomini e a promuovere l’inserimento dei giovani ed il ricambio generazionale nelle imprese e nei sistemi agricoli territoriali” e garantisca in tutto gli Statuto vigenti della Organizzazione “la presenza di genere nelle assemblee e negli organi direttivi regionali in relazione agli associati per genere sul totale degli iscritti e comunque non inferiore, in alcun caso, al 30%”. Nonostante l’attuazione di questi principi oggi i Presidenti Provinciali, nella nostra Regione, vedono una sola presenza di genere femminile su dieci membri eletti, e a livello direttivo abbiamo due soli Direttori di genere femminile: insomma è ancora difficile il cammino delle Donne verso una effettiva e oggettiva parità di genere, e vanno ancora sostenuti gli obiettivi quali il superamento degli stereotipi e delle percezioni errate (diffusissime) sulle donne leader, la necessità di ripristinare dignità, autostima e unità delle donne stante l’insufficienza di misure legislative a favore della parità se non accompagnate da un adeguato cambiamento della mentalità collettiva.

Si auspica, come sempre, che la consapevolezza sul ruolo delle donne non si palesi solo occasionalmente e che gli indicatori sulle presenze femminili di alto profilo nel mondo lavorativo e politico possano un giorno far constatare che quote rosa e obiettivi di genere siano solo un lontano – seppur necessario – ricordo. 

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