Impenna la richiesta di uova provenienti da polli allevati a terra

Claudio Ferri

DALLA REDAZIONE – In piena ‘burrasca’ alimentata dal ritrovamento di uova contaminate dall’antiparassitario Fipronil, l’azienda Valli di Galeata, sulle colline romagnole in provincia di Forlì, non accusa il colpo. Anzi, rilancia e le vendite di attrezzature e soluzioni tecniche per l’allevamento di pollame, crescono. L’azienda romagnola (una delle 4 imprese italiane che realizzano gabbie e impianti per il pollame) esporta nei mercati asiatici, Russia, Nord America ed Europa, fatturando una cinquantina di milioni di euro all’anno, prevalentemente realizzato grazie all’export (90%). “Prima dell’embargo la Russia era il nostro miglior mercato – dice Massimo Mantini, manager della Valli – poi si è sviluppato il mercato asiatico con Corea, Thailandia e Filippine”.

L’azienda in Francia è ben posizionata e in generale non accusa particolari sintomi di crisi. “Tra il 2010 e il 2016, quando c’è stato obbligo della trasformazione delle strutture dettato dai regolamenti comunitari, abbiamo incrementato la produzione del 25% – spiega Mantini – ed anche ora, con l’accresciuta sensibilità dei consumatori sul benessere animale, la grande distribuzione richiede uova da allevamenti a terra. Per le imprese questi ultimi sono investimenti più elevati, ma è un processo di riconversione che sta avanzando”.

Con lo scandalo Fipronil, che ha comportato anche l’abbattimento di animali, il mercato delle uova si è impennato e da un euro al chilogrammo si è arrivati anche ad un euro e 40 centesimi”. In questa situazione molte aziende, nazionali ed estere, pensano di riconvertire il sistema di allevamento, abbandonando i sistemi ‘tradizionali’ per adottare soluzioni più rispettose per il pollame. Pensi che molti supermercati – conclude Mantini – hanno dichiarato che non venderanno più uova provenienti da gabbie, ma solo da allevamenti in voliera e a terra”.

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