Kaki, il miglioramento genetico non ha portato a esiti rilevanti

Dicembre 2016

Crpv

In Italia la coltivazione del kaki (Diospyros kaki Thunb.) ha avuto inizio in Campania dove nel 1916 fu impiantato il primo diospireto, per poi diffondersi principalmente in Romagna (agro faentino).

Nell’ultimo decennio la superficie coltivata è stata di circa 3.000 ettari, con una produzione annuale intorno alle 56.000 tonnellate, di cui il 50% in Campania seguita dall’Emilia Romagna con il 37% e la Sicilia con il 9%.

Nella nostra regione le province maggiormente interessate a questa coltura sono Forlì-Cesena (8.000 ton.), Bologna (5.500 ton.), Ravenna (6.500 ton.), Modena e Rimini (circa 1.000 ton. ciascuna). Nel corso del 2015 nonostante il calo delle superfici investite a frutteto, la coltura ha registrato un aumento di circa il 6%, con un aumento dei quantitativi prodotti del 40% rispetto all’anno precedente.

Il kaki (loto) si conferma una specie “rustica” e molto produttiva, fino dai primi passi della sua coltivazione i frutticoltori italiani ne hanno intuito il suo elevato potenziale produttivo. La resa media in Italia (circa 20 ton./ha) è più alta che in Corea e Giappone (circa 10 ton./ha) e Israele (8,5 ton./ha). Nell’agro romagnolo si possono superare rese anche di 50 t/ha in impianti specializzati, condotti a palmetta e applicando idonee pratiche colturali (concimazione, fertilizzazione e potatura).

Dal punto di vista vivaistico (il kaki viene propagato mediante innesto a triangolo e, più recentemente, a chip budding su semenzali di Diospyros lotus), non vi sono ad oggi novità rilevanti, mancando ancora portinnesti clonali, data la scarsa attitudine alla radicazione del Diospyros lotus, ma anche delle accessioni di D. kaki e D. virginiana. Per quanto riguarda le principali forme di allevamento adottate a livello mondiale, si va dal vaso più o meno aperto (uno dei principali problemi di questa forma è la “scosciatura” delle branche dovuta al carico della produzione e lo sfregamento dei frutti a causa del vento); all’asse centrale (forma con angolo apicale più o meno stretto e dimensioni variabili, che comunque ostacola la raccolta dei frutti); alla palmetta, vanto della tradizione romagnola, che garantisce elevate rese produttive, frutti con epidermide priva di abrasioni ed elevata efficienza nelle operazioni di raccolta.

Esistono comunque cause di ordine tecnico che possono essere di contrasto ad un’effettiva ripresa della diospiricoltura italiana, quali il limitato assortimento varietale (oltre il 70% della produzione si basa ancora sul “Kaki Tipo”, cultivar i cui frutti sono astringenti alla raccolta se non impollinati); il non sempre efficace controllo dei parassiti (Mosca della frutta nelle zone meridionali, Cocciniglie e Sesia); la notevole difficoltà di commercializzare frutti ammezziti (“molli”).

Per anni il panorama varietale nel nostro paese è risultato sostanzialmente statico, fra le varietà più diffuse oltre al “Kaki Tipo” troviamo Triumph  e soprattutto la Rojo Brillante che si sta affermando soprattutto in Romagna, dove ha raggiunto un terzo circa della produzione complessiva; ultimamente sono presenti sul mercato anche alcune tipologie dette Caco mela.

La gamma “Rosso brillante”, si differenzia per il colore particolarmente acceso e la polpa più consistente, e riscontriamo un crescente apprezzamento da parte del mercato.
L’attività di miglioramento genetico condotta principalmente in Giappone non ha portato a esiti rilevanti, risultando difficile coniugare l’ampia adattabilità ambientale e l’elevata produttività delle cultivar astringenti, in nuove cultivar non astringenti con elevato valore gustativo e non suscettibili a fisiopatie (distacco dal calice e rottura dell’apice).

Di fatto, la diospiricoltura del bacino del Mediterraneo si basa su “Kaki Tipo” (Italia), “Rojo Brillante (Spagna e Italia), “Triumph” (Israele e Spagna), tutte cultivar con frutti astringenti alla raccolta (tranne “Kaki Tipo” con frutti fecondati). In altri paesi, quali Giappone, Corea, Brasile, Cina, Nuova Zelanda e Australia la filiera include una gamma più ampia di cultivar, anche non astringenti, tra cui spicca “Fuyu”. La produzione di “Kaki Tipo” in Romagna è destinata sostanzialmente alla commercializzazione di frutti “molli”, per cui, in post-raccolta questi vengono trattati con etilene per migliorare l’aspetto esteriore del frutto (colorazione), per uniformare la maturazione e per rimuovere, indirettamente, l’eventuale astringenza residua. Così come per “Rojo Brillante”, trattamenti a base di CO2 possono essere applicati ai frutti di “Kaki Tipo”, al fine di rimuovere l’astringenza e commercializzare frutti eduli a polpa soda.

Associando tali caratteristiche positive a metodi di coltivazione ecocompatibili (dalla produzione biologica a quella integrata, come indicato nei Disciplinari di produzione – Norme tecniche della Regione Emilia Romagna), e ponendo maggiore attenzione alle tecniche di post-raccolta, alla qualità e al marketing, la coltivazione del kaki in Italia, e in particolar modo nell’agro romagnolo, rappresenta una valida alternativa alle specie “maggiori”, soprattutto se queste manifestano eccedenze produttive.

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