Ancora in difficoltà il kaki dell’Emilia Romagna

albero di kaki

Alessandra Giovannini

CESENA – “Calo produttivo per i kaki a causa delle gelate primaverili e degli stress climatici dovuti alla forte siccità nei mesi estivi”. Le previsioni per questo frutto tipicamente autunnale, e tradizionalmente emiliano romagnolo, è di Andrea Grassi, direttore tecnico agronomico di Apofruit, la cooperativa cesenate che associa produttori nelle principali regioni italiane a vocazione ortofrutticola.

Per il Loto di Romagna, il kaki Tipo, che rappresenta il 90% della produzione nazionale proveniente dai circa 2.500 ettari di vecchi impianti distribuiti tra Campania e Romagna, in particolare nei comprensori di Imola, Faenza, Ravenna, Forlì, Lugo e Cesena, si parla di una riduzione dal 15 al 20% rispetto al 2020, un anno che era già stato piuttosto scarso.
Un dato che può essere confermato anche per l’Emilia Romagna per il Rojo Brillante, o cachi-mela. “Difficile, in questo contesto – prosegue Grassi -, pensare a pezzature importanti. Sicuramente non saranno elevate dal momento che la coltura è stata penalizzata dal forte caldo e dalla siccità che sta portando ad una cascola importante. È certo, invece la buona qualità del prodotto”.

Un frutto che ha ancora tanto margine

“Assolutamente sì – conferma Grassi -. Il kaki ha grande virtù salutari ed è sempre più richiesto dal consumatore, soprattutto nelle nuove tipologie. È tanto gradito che continuiamo a studiare altre tipologie di Rojo brillante e altre varietà, come il Maxim, con polpa soda e dolce che, dai primi raccolti, ha già dato buoni risultati”.

E da un punto di vista commerciale come sarà l’annata 2021?

“Non ho la sfera di cristallo – dice ancora Grassi – ma, si presume, discreta perché gli altri prodotti invernali sono scarsi. C’è poca concorrenza con le pere che hanno avuto problemi molto importanti, così come i kiwi e poi le mele che hanno avuto una produzione normale. La Spagna, poi, grande concorrente dell’Italia per la produzione dei kaki, ha avuto danni ingenti e, in alcuni casi, mancherà il raccolto”.

In Italia la superficie coltivata negli ultimi dieci anni è stata di circa 3.000 ettari, con una produzione annuale intorno alle 56.000 tonnellate: il 50% in Campania, seguita dall’Emilia Romagna con il 37% e dalla Sicilia con il 9% .

Ma c’è ancora convenienza per questa produzione? “Sì – risponde deciso Grassi -. Ma per un prodotto di qualità e soprattutto con nuove tipologie”.

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