L’impatto della Pac sulla Bulgaria, nazione che investe in zootecnia e viticoltura

Dicembre 2014

Claudio Ferri

PLOVDIV (Bulgaria) – È una Bulgaria a due velocità quella che affronta la nuova programmazione comunitaria a 28 Stati.

Un Paese in cui emergono realtà produttive all’avanguardia – ancora una netta minoranza – a fianco di microimprese agricole (al 2010 l’82% delle aziende, – pari a 301 mila unità – avevano meno di due ettari, secondo i dati Eurostat) che stentano a trovare una dimensione economica capace di produrre un reddito adeguato. È una nazione che si trascina il fardello dell’epoca sovietica e che dopo la disgregazione del regime ha visto nascere imprese agricole spesso sulle ceneri delle grandi cooperative acquisite, senza nemmeno ricorrere a tante alchimie, da ex dirigenti delle strutture stesse. Disponibilità economica e conoscenza dei processi produttivi e commerciali da parte di questi neo imprenditori hanno fatto il resto, e comunque hanno dato vita ad attività interessanti sotto il profilo produttivo ed economico.

Il territorio agricolo bulgaro è di 5,9 milioni di ettari, pari a circa il 50% dell’intera superficie del Paese che è di 110 .900 chilometri quadrati e il settore primario crea occupazione a più di 1.153.000 persone su una popolazione di 7 milioni e 200 mila individui, poco meno del 19%. Al 2013 il valore delle esportazioni della nazione balcanica rappresentava 4.1 miliardi di euro, con una consistente progressione negli anni.

Nell’aprile del 2000, nell’ambito della riforma agraria, la Bulgaria diede il via alla ristrutturazione del catasto terreni per mettere ordine alla difficile situazione delle proprietà terriere. La superficie media aziendale era a quel tempo – ma lo è tuttora – poco più di un ettaro e mezzo. L’agricoltura si è tuttavia evoluta grazie soprattutto al periodo di transizione che ha preceduto l’ingresso nell’Unione europea, con le attività avviate dal programma Sapard – il Programma speciale di pre – adesione a favore dell’agricoltura e dello sviluppo rurale – che ha dato un forte impulso all’ ‘economia verde’. Un settore primario, quello bulgaro, che fino al 2013 ha ricevuto dall’Unione europea un fondo di coesione e fondi strutturali destinati anche allo sviluppo della competitività, all’ambiente e allo sviluppo regionale.

La regolarità delle pianure attorno a Plovdiv è a tratti è interrotta da piccoli rilievi: sono le tombe dei traci, il popolo che un tempo abitava la regione che adesso occupa l’estrema punta sudorientale della Penisola balcanica, uno territorio diviso tra Grecia, Macedonia e Bulgaria. Su queste tombe, che solo in apparenza sono verdi collinette, pascolano ora indisturbate greggi di pecore e bovini.

Nel villaggio di Brestnik, nella regione di Plovdiv, l’azienda Zlatno Runo alleva più di 700 pecore con il cui latte produce diversi tipi di yogurt e formaggio. L’impresa familiare non ha fatto investimenti di rilievo, dall’ovile al caseificio (un container attrezzato), e l’aspetto singolare è che iniziò l’attività nel 1991 grazie ad una vincita alla lotteria che permise di acquistare 63 pecore.
Violeta Kroushkova gestisce l’azienda insieme al padre ed al fratello e durante la bella stagione le greggi pascolano in montagna. “Questa estate la resa è stata inferiore rispetto alla media – spiega Violeta – soprattutto a causa della pioggia e delle basse temperature”. Il latte non trasformato viene venduto a 70 centesimi di euro mentre il formaggio vale sul mercato 6 euro al chilogrammo. Più dinamica invece l’azienda Halalitca che alleva capre nel villaggio di Iskra, anche questa a pochi chilometri da Plovdiv. Georgi Kadiev e la moglie Maria Ivanovae allevano 260 capre di razza ‘Bianca Bulgara’ con l’aiuto di 4 dipendenti, pastori che oltre al gregge controllano le aggressioni dei numerosi lupi della zona. Hanno iniziato nove anni con l’acquisizione del gregge grazie all’aiuto di programma regionale che ha erogato un prestito a tasso agevolato. Razionale, con una moderna sala di mungitura, lavorano giornalmente nelle stagione estiva tra 300 e 400 litri di latte che viene venuto in parte ad una latteria, mentre con la rimanente producono yogurt e formaggi.
I due coniugi credono nella filiera corta e dal 2010 vendono i loro prodotti al farmers market di Plovdid dove, oltre ai formaggi hanno un buon mercato di latte crudo per consumatori con problemi di intolleranze alimentari.

A differenza di esperienze imprenditoriali maturate in un contesto agricolo, Daniela Tsvyatkova assieme al marito ha avviato un allevamento di bovine da latte nel villaggio di Cheshnegirovo del Comune di Sadovo, (distretto Plovdiv) dopo una esperienza lavorativa completamente diversa. Lavorava in città e dopo aver aderito ad una accattivante campagna promozionale del governo per incentivare il ritorno alla campagna, 10 anni fa ha venduto due appartamenti per acquistare l’azienda agricola. Ora ha 110 bovine che conduce con tre dipendenti turchi. “È stata una scelta di vita – dice – ma se tornassi indietro non so se lo rifarei”. Dieci ettari in proprietà e 50 in affitto (il costo è di 24 euro all’ettaro all’anno), l’azienda ha una media di stalla di 25 quintali di latte per capo dove la mungitura viene svolta con una agevolatrice sulle poste. Nel 2010 ha ottenuto finanziamenti con la misura 121 (ammodernamento delle aziende agricole) e ha costruito una vasca per il contenimento dei liquami per essere in linea con la Direttiva nitrati.

Più adeguato ai tempi e dotato di moderna tecnologia al servizio dell’allevamento è Aleksander Kaishev, allevatore di 45 anni per passione, laureato in storia, dopo la caduta del regime ha acquistato dallo Stato la stalla assieme al padre. Negli anni hanno allargato la maglia poderale ed ora dispongono di 600 ettari di terreno, 100 dei quali in proprietà. Ora l’azienda dispone di 360 vacche in lattazione (la media produttiva è di 90 quintali all’anno) e 300 da rimonta allevate a stabulazione libera, con tecnologia europea e genetica americana. In azienda lavorano 30 dipendenti.
Da una decina di anni vende tutto il latte alla Danone al prezzo medio di 36 centesimi di euro, con un costo di produzione pari a 20 centesimi. Kaishev continua ad investire in terra (in quel distretto vale da 4 a 5 mila euro ad ettaro) e porta a termine tre progetti sostenuti con i programmi di sviluppo rurale per un importo di oltre 1,5 milioni di euro.

Un altro settore in grande evoluzione è quello vitivinicolo: Villa Yustina, che prende il nome dall’omonimo villaggio, nasce nel 2006 e vinifica le uve di una ventina di ettari (altri 17 sono appena stati messi a dimora). Proprio sui vini (ottenuti da uvaggi internazionali oltre che dal vitigno autoctono Mavrud) l’azienda ha sviluppato l’attività turistica nel centro aziendale dove promuove degustazioni e visite guidate in cantina e sul territorio, molto ricco dal punto di vista culturale e storico.
La moderna struttura ha una capacità di 300 ettolitri, produce 200.000 bottiglie e dispone di una cantina sotterranea per l’invecchiamento del vino. L’azienda si è internazionalizzata ed esporta i propri vini in Germania, Belgio, Russia, Austria, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Cina e Taiwan, per un valore di circa 400 mila euro.
In azienda (che produce anche mele) lavorano 40 dipendenti, tra cui un agronomo che per anni ha lavorato in una impresa vitivinicola Toscana da cui ha acquisito il know how ora messo a valore a Villa Yustina.

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