Settembre 2017
Cristian Calestani
PARMA – Una Pac che, nel perseguire gli obiettivi comunitari, ricorra a misure mirate sulle esigenze dei singoli territori ed in grado di rispondere alle nuove dinamiche dei mercati, ai rischi della produzione agricola e ad un clima in continuo cambiamento.
È questo l’ideale di Politica agricola comune post 2020 del quale si è dibattuto a Parma in occasione del convegno “Riforma della Pac e sostenibilità dell’agricoltura europea”, promosso dalla Cia nazionale ed ospitato al campus universitario in occasione del 15° congresso dell’associazione europea degli economisti agrari.
“Bisogna orientare al meglio le risorse della Pac che rappresentano il 38 per cento del budget di spesa complessivo dell’Unione europea – ha subito evidenziato Dino Scanavino, presidente nazionale Cia -. I circa 7 miliardi di euro destinati all’Italia dovrebbero essere investiti nell’innovazione, per la competitività delle aziende agricole, con un’attenzione particolare all’individuazione di strumenti per la gestione dei rischi in agricoltura, sempre più toccata dagli effetti dei mutamenti climatici. È importante che i fondi europei vengano indirizzati per favorire la competitività delle imprese agricole – ha aggiunto Scanavino – migliorando le filiere produttive, semplificando al massimo i processi di accesso ai finanziamenti, troppo spesso intrappolati in un sistema burocratico disincentivante.
Il ricambio generazionale nei campi, attualmente sotto il 10 per cento, potrà avvenire solo se il settore si renderà attrattivo, un obiettivo ineludibile che oggi non è stato ancora raggiunto. Fare impresa nel settore agricolo – ha poi sottolineato Scanavino – è arduo. L’attività è esposta ad una percentuale di insuccesso molta alta, il più delle volte non connessa all’incapacità dell’imprenditore, ma a regole di mercato penalizzanti. La Pac deve contenere misure efficaci che assicurino maggiormente i redditi degli agricoltori. Non si tratta di assistenzialismo, che gli agricoltori italiani respingono, ma di un sostegno equilibrato a compensazione di perdite scaturite da eventi meteorologici straordinari, calamità naturali o crisi di mercato”.
Tanti gli spunti di riflessione durante il dibattito moderato da Roberto Henke, direttore del Centro di ricerca politiche e bioeconomia del Crea.
“Ci muoviamo in un clima di grande incertezza – ha evidenziato proprio Henke -. Nell’Europa della Brexit e guardata, da molti, con diffidenza, c’è anche una Pac che non soddisfa. Una Pac oggi rivolta non solo agli agricoltori, ma anche ai consumatori, agli ambientalisti e a tutta la società civile nel suo complesso per una crescita che sia sostenibile”. E così il primo elemento di riflessione è tra una Pac rigida e dal “vestito unico” e una Pac flessibile in cui le scelte degli stati membri possono assumere importanza.
Per una Pac “decentrata” si è detto Arnold Puech d’Alissac, membro del board dell’Fnsea, parlando di una politica “all’insegna del decentramento e orientata sugli interessi locali”, bocciando l’approccio di una Pac “uguale per tutti”. Non tutto è da buttare per d’Alissac: “negli ultimi trent’anni la Pac ha fatto bene all’ambiente. Prima non c’erano regole. Si poteva fare quello che si voleva con l’uso di concimi e fertilizzanti. Oggi, anche grazie alla Pac, ci sono controlli. Penso, ad esempio, alla direttiva nitrati o alle politiche del greening, che dimostrano che i prodotti europei hanno un valore aggiunto dal punto di vista ambientale. In Francia, inoltre, si parla da tempo di una politica che consideri sempre più la gestione del rischio dell’attività agricola legato ai pericoli del cambiamento climatico o delle patologie che possono colpire le colture”.
Di “obiettivo comune, ma strategie locali differenti attraverso diversi piani di sviluppo rurale” ha parlato anche José Maria Garcia Alvarez-Coque dell’Università di Valencia che ha posto l’attenzione sulla necessità di “evitare distorsioni di mercato, di prevedere una strategia per la gestione del rischio e l’instabilità dei prezzi” non dimenticando temi come “il fronteggiare il problema del ricambio generazionale e lo spopolamento della aree rurali”.
A favore dell’approccio di una Pac flessibile anche Donato Romano dell’Università di Firenze: “Per evitare distorsioni di mercato bisogna prevedere dei limiti di budget e regole precise. Il meccanismo dei pagamenti diretti, ad esempio, ritengo sia uno degli elementi maggiormente distorsivi. Non si possono più legare gli aiuti ad uno status. Serve, invece, un chiaro orientamento ai risultati”. Romano ha introdotto anche il concetto della sussidiarietà tra il livello europeo e quello nazionale: “Ogni finanziamento in arrivo dall’Europa dovrebbe prevedere una compartecipazione a livello nazionale o subnazionale, in modo che vi sia un maggior controllo in termini di raggiungimento di un obiettivo”.