Erika Angelini
FERRARA – Lo dicono i dati diffusi da Cso Italy a Prognosfruit di Trento a inizio agosto e lo confermano in maniera decisa i produttori, che si ritrovano a fare i conti in campo con alberi sostanzialmente “vuoti” o con pochissimo prodotto da raccogliere.
La situazione della pericoltura italiana in generale, ed emiliano-romagnola, in particolare non è mai stata così difficile, nemmeno quando ci fu l’invasione della cimice asiatica. Anche i dati Istat, leggermente più ottimistici nelle stime complessive, concordano però su una tendenza negativa che vede un calo rispetto al 2022 di circa il 60%, con poco più di 100mila tonnellate prodotte o stimate nella nostra Regione – l’Abate si inizierà a raccogliere in queste settimane e non c’è ancora il dato produttivo – e circa 180mila a livello nazionale. Un deficit non solo italiano ma anche europeo, visto che anche nell’Ue si è registrato un calo del 13% rispetto al 2022. Ma cosa ha generato questa terribile “tempesta perfetta” che rischia di far scomparire le pere italiane dalle nostre tavole?
Secondo Nicolò Sisti, produttore di Ferrara c’è, ancora una volta, un responsabile principale: il clima.
“Ormai ci siamo quasi stancati di dirlo e sentirlo, tanta è l’amarezza nel vedere le nostre produzioni agricole soccombere di fronte a un clima così aggressivo che ha lasciato scampo solo a poche colture. Le pere, semplicemente, ne hanno subite troppe, iniziando dalla siccità dell’anno scorso che è, quasi certamente, la responsabile dell’ingente morìa di piante di quest’anno – nella mia azienda parliamo del 20% – che ha abbassato da subito il potenziale produttivo.
I tecnici ipotizzano che a provocare la moria degli alberi non sia una vera malattia ma un problema di debolezza di innesto del cotogno che non resiste alle alte temperature e che, al risveglio vegetativo, fa seccare la pianta.
Poi sono arrivate, nell’ordine: le gelate tardive di aprile, l’eccesso di pioggia di maggio che ha fatto proliferare la maculatura, e il colpo di grazia della grandinata di luglio, così intensa che ha bucato le reti e ha danneggiato il prodotto. Il risultato per le pere estive, la William in particolare, è disastroso se si pensa che la mia media aziendale era di circa 500 q/ha e quest’anno siamo sui 300. La Carmen è andata meglio, oserei dire abbastanza bene, ma si tratta di una pera meno diffusa e comunque, anche se i prezzi sono ovviamente abbastanza alti, non riusciremo a coprire i costi e gli investimenti.
Chiudo con un’altra nota dolente, l’Abate, che ha subìto meno le gelate perché più tardiva ma è più suscettibile a morìa, maculatura e naturalmente ha subito la grandinata in maniera consistente. Il risultato è che non so cosa andremo a raccogliere perché i frutti sono “una rarità” e anche la qualità sarà probabilmente deficitaria. Una pessima, pessima, annata”.