Erika Angelini
FERRARA – “Nel ferrarese la produzione di riso è concentrata soprattutto nelle zone a ridosso del Parco del Delta del Po, in particolare a Jolanda di Savoia, caratterizzate da una densità di popolazione e urbanizzazione decisamente limitate, attività industriali pari allo zero e colonnine che misurano la qualità dell’aria perennemente sul “verde”.
Un contesto fortemente agricolo, dove la sostenibilità è parte integrante del paesaggio e dove valgono però le stesse regole ambientali di zone ad alta densità abitativa e produttiva – spiega Massimo Piva, risicoltore “storico” che rischia di veder spazzate via le sue risaie dalle misure di tutela della qualità dell’aria stabilite dalla Regione Emilia Romagna – in applicazione al dell’art. 182, comma 6 bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 – che impediscono gli abbruciamenti di residui vegetali, agricoli e forestali e superfici investite a riso da ottobre ad aprile.
Una normativa generalmente corretta perché certamente la qualità dell’aria in Pianura Padana non è da “primato”, che però non può essere applicata indistintamente a tutti i territori e, soprattutto, deve tenere conto delle esigenze produttive di una filiera come quella del riso, che in questo modo rischia di scomparire.
Sulla campagna 2024 pesano le scarse richieste di prodotto e la norma che impedisce la bruciatura della paglia
“Siamo molto preoccupati perché la Regione l’anno scorso non ha concesso la deroga al divieto di combustione dei residui colturali di riso in campo – continua Piva – che è essenziale per poter lavorare al meglio la risaia e impedire il proliferare di malattie. La normativa impedisce, infatti, la bruciatura di stoppie e paglie di riso, un’operazione essenziale che elimina non solo il riso selvatico ma anche le infestanti. La presenza della paglia su terreni come quelli del Basso Ferrarese, poco drenanti e con una falda acquifera alta, porta alla formazione di uno strato compatto di materiale che, in caso di forte pioggia, impedisce le lavorazioni nella risaia, per non parlare dell’accumulo di sostanze dannose che pregiudicano anche la salubrità dei terreni.
Anche l’interramento delle paglie che viene dato come alternativa alla bruciatura è poco efficace sui nostri terreni, oltre ad essere oneroso perché parliamo di un aumento di costi di lavorazione di circa 200 euro per ettaro, tra trinciatura e aratura. La bruciatura, naturalmente fatta secondo le regole e rispettando eventuali allerte da “bollino rosso” sulla qualità dell’aria, è dunque l’unica vera soluzione e non riusciamo a capire perché non ci possa essere una deroga per il riso, una coltura che va nella direzione della massima sostenibilità ambientale: le risaie sommerse contribuiscono a preservare la biodiversità e contribuiscono al riequilibrio idrogeologico.”
Negli ultimi anni è diventato, dunque, sempre più complesso produrre riso e non solo per le difficoltà dovute alle norme ambientali o i danni provocati dai mutamenti climatici, ma anche per le problematiche di mercato.
“Quest’anno – continua Piva – un primo sondaggio dell’Ente Risi parla di un leggero aumento delle superfici investite a riso, che dovrebbero passare da 210 mila a 220 mila a livello nazionale. Anche nel ferrarese dovrebbe esserci una tendenza simile ma non credo si andrà molto oltre i 4 mila ettari, un dato stabile da alcuni anni, e comunque molto basso rispetto ai 10 mila di una decina di anni fa. Quest’anno sulla scelta degli investimenti pesa molto un mercato che, dopo una prima fase discreta, è ora completamente bloccato per mancanza di richiesta, tanto che l’industria non si presenta neanche alla Borsa Merci. Un contesto commerciale che è il risultato della presenza di molte varietà da interno che hanno saturato il mercato e dal calo del riso di varietà Indica destinato alle esportazioni. Una situazione che sta mettendo in difficoltà le aziende risicole, che si trovano a dover fare scelte colturali in un clima di profonda incertezza e senza la possibilità di organizzarsi e pianificare”.