Marzo 2016
Herbert Lavorano, coordinatore commerciale presso OP Nazionale Italia Cereali
I primi mesi del 2016 sono stati per i cerealicoltori italiani (e non solo) una vera e propria doccia fredda. Ad eccezione del mais, che pur con prezzi molto bassi ha mostrato una buona tenuta, le quotazioni dei cereali a paglia (frumento tenero, frumento duro e orzo) sono scese rapidamente fino a toccare il livello più basso degli ultimi 5 anni.
Attualmente il frumento tenero panificabile vale mediamente 166 euro/t partenza magazzino Nord, il frumento duro 238 euro/t e l’orzo 170 euro/t (quotazioni Borsa merci Bologna). Soprattutto per il frumento tenero, è probabile che la merce di bassa qualità debba essere destinata a usi zootecnici.
Le ragioni sono diverse: gli stock mondiali hanno raggiunto livelli record dopo due raccolti particolarmente abbondanti e la congiuntura globale è in raffreddamento soprattutto nei Brics. A ciò dobbiamo aggiungere due fattori specificamente europei, ossia l’euro, che nonostante i tassi d’interesse ormai azzerati si è parzialmente rivalutato nei confronti del dollaro Usa, e la politica commerciale dei venditori francesi, disposti a tutto pur di non arrivare al nuovo raccolto con i magazzini pieni.
Per un paese deficitario come il nostro, è evidente che le importazioni a buon mercato di cereali finiscono per deprimere anche le quotazioni del prodotto nazionale, e ciò è vero al netto delle recenti polemiche sulla qualità e salubrità della merce estera. La situazione è particolarmente preoccupante per il frumento duro, visto che secondo l’Istat le semine autunnali sarebbero aumentate del 6,2% rispetto al 2014 e che gli incrementi riguardano soprattutto il Centro-Nord dove le rese unitarie sono più alte. Un discorso analogo vale per il frumento tenero (+5,6%), mentre il mais è stimato in calo del 3,9%, visti i risultati qualitativi e economici negativi dell’ultimo raccolto. Se dovessero essere confermate le rese del raccolto 2015, l’Italia si ritroverebbe con un’offerta nazionale molto abbondante che continuerà a dover fare i conti con la concorrenza estera.
Quali strategie adottare per la difesa dei redditi?
Le aziende agricole dovranno necessariamente concentrarsi sulla riduzione dei costi di coltivazione, e al contempo diversificare le proprie produzioni per limitare il rischio dei prezzi. Ma la vera sfida è sicuramente la commercializzazione in forma aggregata delle produzioni. Infatti, solamente strutture significative al livello quantitativo possono mettere in atto strategie tese alla riduzione dei rischi commerciali, quali l’utilizzo di strumenti finanziari derivati (cd. future) e soprattutto lo sviluppo di filiere specializzate, che potrebbero diventare il vero e proprio punto di forza del “made in Italy” cerealicolo.