Settembre 2016
Claudio Ferri
Le variabili in gioco sono molteplici, troppe per farle collimare esattamente tra l’universo della produzione e quello della distribuzione. L’ortofrutta lungo l’intera filiera corre su strade corrugate che a volte arreca qualche danno agli ammortizzatori degli imprenditori agricoli, il primo anello della catena.
In gioco entrano la capacità di innovazione varietale dei produttori, gli investimenti in tecnologia, le richieste di mercato che spesso cozzano contro la rigidità dei tempi produttivi a cui sono soggette le colture frutticole. Poi c’è il grande tema della qualità organolettica, ricercata da tutti, anche se l’aspetto ‘fisico’ del frutto (colore in particolare) è in un primo momento più attrattivo per il consumatore.
L’innovazione parte dal sapore di frutta e verdura e dalle richieste del consumatore, non solo dal colore, dalla produttività – spiega Claudio Mazzini, responsabile ortofrutta di Coop Italia-. Abbiamo visto che innovare solo gli aspetti che interessano i produttori, o noi distributori, non ci porta fortuna. Produrre quello che vuole il cliente finale, però, significa cambiare sistema. Ad esempio, allevando e proteggendo i frutteti sotto rete perché, oltre al cambiamento dei consumi, dobbiamo convivere con il cambiamento climatico. Insomma, immagino di non sentire più la frase ‘siamo una fabbrica a cielo aperto’.
I consumatori chiedono quindi più qualità: i frutticoltori soddisfano questa equazione?
Il mondo della produzione deve lavorare ancora e con urgenza sul tema della qualità e costanza organolettica. Non si può affidare il proprio destino all’andamento climatico, bisogna poter contare su standard qualitativi più alti e certi. In particolare nel caso della frutta estiva – quindi meloni, pesche, nettarine, susine e così via – il produttore ha investito per anni in varietà che garantissero elevate rese per ettaro, concentrazione nella raccolta e, al massimo, la colorazione attraente dei frutti. Molto meno, per non dire nulla, sul loro sapore.
Non solo, prima di immettere sul mercato nuove varietà, che hanno alle spalle investimenti per centinaia di migliaia di euro, bisognerebbe fare sistematicamente test preventivi sul consumatore e capire il gradimento e l’accettazione da parte di chi poi le acquisterà. Altrimenti si fanno fare investimenti ai produttori senza minime garanzie.
La sola provenienza dell’ortofrutta, nella fattispecie quella italiana, non è sempre sinonimo di eccellenza quindi?
Il made in Italy è potente, ma da solo non basta, deve avere altro e certamente il tema del buon sapore è prioritario: per questo gli standard qualitativi devono essere stringenti. E la Gdo può essere, anzi è una strada maestra per testare il valore. Che sia della prima, della quarta o della quinta gamma.
E aggiungo che non basta che la nettarina sia buona oggi, ad esempio, deve essere gustosa anche la settimana successiva, pure quella dopo.
Solo in questo modo si ottiene la fiducia del consumatore. Il mondo della produzione deve, quindi, essere coerente con le aspettative del cliente finale e, per fare ciò, deve evolvere molto.
Alta qualità comporta anche costi maggiori. Gli agricoltori lamentano che questo valore aggiunto non viene riconosciuto sul piano economico.
Le esperienze di questi anni dimostrano come quando vi è una qualità realmente superiore il consumatore è disposto a riconoscere anche un prezzo maggiore. Cito l’esempio della nostra linea Fior Fiore che cresce a due cifre in mercato stabile o, come nel caso della frutta estiva, in calo.
Ma la coerenza è il primo dei valori: ad esempio, tornando alla frutta estiva, quest’anno molti prodotti non raggiungevano i parametri minimi per accedere al marchio Fior Fiore, quindi per coerenza abbiamo preferito non farli, rinunciando a un fatturato sicuro ma che ci avrebbe pregiudicato la fiducia successivamente.
Mi pare di capire che serva ancora più dialogo tra produttori e Gdo
È fondamentale che una filiera collabori per essere efficiente, capace di remunerare in modo equo i produttori e garantire un prezzo conveniente per il cliente finale. Insomma, un prezzo che rispecchi il valore che il consumatore gli attribuisce. Per il servizio, ad esempio, o il valore aggiunto.
Le campagne di comunicazione finalizzate ai maggiori consumi di frutta sono efficaci?
Guardi, auspico una maggiore collaborazione per comunicare di più e meglio, ma senza ‘fare i maestrini’. Che l’ortofrutta faccia bene ormai è un leit motiv sfruttato. Serve altro.
Ad esempio: l’ortofrutta sta bene da sola e sta bene con tutto. Può essere il piatto principale o l’accompagnamento.
Evitiamo la competizione tra i cibi; la dieta mediterranea è la più sostenibile, e alla base ci sono frutta e verdure, gli integralismi non servono.
Spesso il mondo agricolo punta il dito sulla Grande distribuzione, ‘colpevole’ di non remunerare a sufficienza i prodotti e trattenere il valore aggiunto
In un mercato dove ancora il 50% dei volumi passa per canali diversi dalla Grande Distribuzione pensare che un solo anello delle filiera determini tutto è francamente bizzarro. Io penso ad un settore che si metta in discussione, che cerchi soluzioni e non colpevolizzi qualcuno su cui scaricare le colpe, ma si concentri su cosa vuole il consumatore. Ed ecco che abbiamo chiuso il cerchio.
Anche i volumi hanno la loro importanza, mi riferisco alla capacità dei produttori di aggregare le referenze.
Occorre fare sistema aumentando efficacia e sinergie e ottimizzando flussi logistici e assortimenti sul lungo periodo e sui grandi volumi: un approccio che richiede uno sforzo in più da parte dei produttori, che devono uscire dalla logica quotidiana del mercuriale e pensare a fare efficienza e dare valore anche ai volumi. Ma serve ‘aprire i libri dei conti’ e ragionare sui costi di lavorazione.
Prendiamo l’esempio delle pere: vanno definite le partite per lavorazione o le confezioni dedicate, dallo sfuso ai differenti tipi di condizionamento, stoccaggio incluso. Nei picchi di stagione o a inizio campagna possiamo ragionare su un evento di filiera efficiente ma, poi, dobbiamo creare le condizioni per contenere tutti i costi che non aggiungono valore al prodotto per tutti i mesi di assortimento continuativo.
Pezzature dei prodotti e spreco: un tema caro agli agricoltori ed ai consumatori
La struttura famigliare è mutata da tempo, oggi i nuclei sono meno numerosi, non si può vendere un cavolfiore da un chilo e mezzo, sapendo che poco più della metà finisce nel bidone dell’umido: è uno spreco. Innovazione è anche tutto ciò che facilita le cose a chi acquista. È così anche per le prime trasformazioni di frutta e verdura, che devono essere sempre nella logica di semplificare la vita del consumatore”.