DALLA REDAZIONE – L’annata viticola in Emilia Romagna registra una generale flessione con differenze produttive da Rimini a Piacenza.
Nel reggiano la vendemmia sul territorio di Reggio Emilia è iniziata dopo Ferragosto con le uve bianche di collina per la base spumante e sono proseguite per le produzioni tradizionali. Il grosso si è avuto nelle settimane successive con le uve rosse, soprattutto Ancellotta che occupa il 50% della produzione e, successivamente, con il Lambrusco.
La qualità è straordinaria grazie al clima: un’estate calda, non eccessiva, e con eventi piovosi. La quantità è stata scarsa. Previsto un -15% a causa della flavescenza dorata e minor produzione anche a causa degli effetti dei cambiamenti climatici come gelate primaverili e grandinate.
L’areale modenese ha risentito delle forti grandinate che hanno determinato una contrazione in volume del Pignoletto, molto diffuso in quei territori. “Ci sono situazioni a macchia di leopardo”, conferma Nicola Gentile, enologo della Cantina di Castelfranco Emilia. Lo stabilimento produttivo, che fa parte del gruppo Cantine Riunite Civ, è uno dei più importanti nella vinificazione del Pignoletto e la flessione adesso è stimata attorno al 5-10%. “La qualità non ne ha risentito perché nonostante il clima, l’escursione termica tra notte e giorno è sempre stata sufficiente e utile per conferire profumi e aromi ai grappoli”. Stessa situazione nelle colline bolognesi dove i vitigni di Pignoletto hanno un carico d’uva non eccezionale, una flessione però non paragonabile al 2022 quando la produzione ha subito un taglio del 50%.
Grappoli in ritardo di maturazione di circa 15 giorni rispetto al 2022
Campagna difficile anche nell’imolese: clima e Peronospora hanno dimezzato le produzioni. Le aziende vitivinicole che non sono state fortunatamente colpite direttamente dai fenomeni alluvionali o dalle frane hanno comunque subito l’eccesso di pioggia che ha caratterizzato il territorio dal 20 aprile in avanti, con gli ormai ben noti picchi di maggio. Il risultato sono ingenti cali produttivi per le uve sia bianche sia nere dovute in larga parte alla Peronospora, come spiega Davide Veronesi, dell’azienda vitivinicola Ca’ Bruciata di Imola.
Veronesi: “La qualità delle uve è ottima anche grazie alla possibilità di irrigare”
“La mia azienda è biologica e usiamo solo il rame che è in grado di limitare lo sviluppo della Peronospora, ma è fondamentale la tempestività nell’effettuare il trattamento. Purtroppo a maggio sono caduti 400 mm d’acqua e non sono riuscito a entrare nel vigneto per circa due settimane visto che abbiamo pendenze che superano il 20 % ed è molto rischioso affrontarle con il terreno impregnato di acqua – continua Veronesi –, così il temuto fungo ha potuto agire indisturbato nel periodo della fioritura. Il risultato è che mancano letteralmente i grappoli e su venti ettari abbiamo avuto cali produttivi medi del 45-50% sia per le uve nere sia bianche. Nel dettaglio, l’Albana è quello che ha subito il danno peggiore, oltre il 50% in meno così come il Pignoletto che è attorno a – 50% per poi passare al Traminer con un -30%. Unica eccezione il Malvasia che ha prodotto più dell’anno scorso, forse perché durante le piogge si trovava in una fase fenologica più avanzata.
A livello di rossi quello che ha sofferto di più è il Sangiovese con una produzione almeno dimezzata, mentre il Cabernet ha avuto un calo inferiore, attorno a -20%. La qualità delle uve, invece, è ottima anche grazie alla possibilità di irrigare perché, dopo il periodo eccessivamente piovoso di maggio è tornata la siccità. Capacità di irrigare assicurata dal bacino irriguo che abbiamo realizzato insieme ad altre aziende del territorio, fondando nel 2007 il Consorzio Rondinella. Si tratta di un invaso che ha una portata di 150mila metri cubi e che davvero, da due anni a questa parte, ci ha permesso di salvare i prodotti durante i periodi siccitosi. Una nota dolente è, invece, di prezzo all’ingrosso delle uve – conclude il viticoltore – che, nonostante la mancanza di prodotto, non è salito come ci si poteva aspettare e quindi non riuscirà a compensare i cali produttivi. Anch’io che commercializzo i vini al dettaglio, soprattutto a ristoranti, enoteche e ad alcune catene di distribuzione non potrò certamente raddoppiare i prezzi e quindi sarà comunque una campagna in perdita”.
In Romagna le uve precoci sono già state raccolte e la tendenza delle prime ore è stata confermata: le quantità segnano un 15% in meno. La qualità in compenso, è molto buona, dove non è arrivata la grandine. Mentre la raccolta delle uve Trebbiano e Sangiovese, che rappresenta la grossa parte della produzione, è iniziata nella seconda metà di settembre. Le previsioni per questa parte della vendemmia complicata indicano in generale una diminuzione che si può assestare attorno al 10% in meno rispetto all’anno precedente. “Ci sono differenze – spiega Marco Nannetti, presidente di Terre Cevico -, la collina recupera di più rispetto alla pianura, dove invece per una serie di fattori, tra cui gli effetti collaterali dell’alluvione, le uve hanno una certa maturità difforme. Nello stesso vigneto, ad esempio, ci sono uve che fanno 10 gradi e altre 12”. Le uve precoci sono state vendemmiate subito dopo Ferragosto. Sono Trebbiano e Chardonnay e rappresentano la base spumante. ”Le quantità, dicevamo, sono inferiori alle potenzialità dei vigneti – conclude Nannetti – ma sulla qualità delle uve portate in cantina, considerando acidità e profumi, siamo molto soddisfatti”.