di Francesca Pellegrini
Ho ripreso il mio rapporto diretto con la terra, grazie alla pandemia. Stanca delle difficoltà a cui ha obbligato la maggior parte di noi, ho pensato ad alcune soluzioni che mi permettessero di recuperare un po’ di libertà. Allora mi è venuta in mente la mia terra. Possiedo circa due ettari di terra nell’Appennino modenese. Anche prima la coltivavo in parte, piantando patate che diventavano squisite e manutenendo la zona boschiva e quella a foraggio in modo basico.
Nei periodi di pandemia, però, non ci si poteva spostare se non avendo i titoli che giustificavano tali spostamenti. Proprio stimolata da queste limitazioni ho cominciato a pensare come attrezzarmi per riuscire a spostarmi nelle mie proprietà, per godere di spazi liberi e di natura, superando i divieti.
Ho quindi deciso di attrezzarmi per diventare una piccola imprenditrice agricola. Non è stato semplicissimo capire come fare, perché avevo già una partita Iva, visto che ho un’attività editoriale da tanti anni. Dalle ricerche fatte, anche con l’ausilio del mio commercialista, ho appurato che c’era la possibilità d’integrare la mia partita Iva con i codici ateco che corrispondevano alle attività agricole che avrei voluto e potuto fare. Ho avuto bisogno di supporto e quindi mi sono rivolta alla Cia che mi ha seguita e aiutata a formalizzare il tutto nel modo corretto. Ecco come sono diventata anche una piccola produttrice agricola. La mia casa editrice Saddai Edizioni quindi, poteva occuparsi sia di cultura che di agricoltura.
Da qui è cominciato un nuovo percorso e nuove esplorazioni e anche il recupero psicologico e pratico di tante esperienze che avevano fatto parte della mia infanzia. Mi sono resa conto che l’agricoltura poteva essere aiutata dalla mia cultura, ma anche che una vera cultura deve avere radici più salde e radicate nella terra, dare importanza a chi la lavora, a chi tiene vive le tradizioni legate al territorio o chi ha la capacità di sperimentare nuove metodologie, nuovi prodotti, nuove forme.
Mi sono resa conto che ci sono tanti piccoli agricoltori che contribuiscono a tenere vivo il nostro territorio e che lavorano per dare sostegno vitale a tutta la comunità senza risparmiarsi.
Purtroppo ho anche sperimentato quanto sia difficile per una donna, muoversi in questo mondo. La prima attività a cui mi sono dedicata, nella mia nuova veste di piccola imprenditrice agricola, è stata rivolta alla pulizia di un bosco in cui le piante erano cresciute senza cura e che aveva bisogno di essere aiutato con taglio intelligente delle piante in eccesso.
Ho quindi cercato della mano d’opera in un mondo esclusivamente maschile in cui prevaleva l’atteggiamento di diffidenza nei confronti di una donna che non voleva delegare, ma gestire la propria attività.
Mi sono resa conto che nei miei confronti esisteva una supponenza che si appoggiava anche sulla mia ignoranza. Per quanto questo comportamento potesse infastidirmi, aveva però la sua ragione d’essere, perché io ignorante lo ero davvero.
Sì, spesso si danno per scontate le cose che succedono nel mondo dell’agricoltura, come se per fare gli agricoltori non ci volessero delle sapienze. Invece non è assolutamente così. Anzi. Chi sa ricavare dalla terra ciò che serve alla vita reale di tutti, oltre che un artista è un essere sapiente, che aggiunge alla competenza la pazienza, la dedizione, l’apprendimento più importante che è legato all’esperienza.
Quindi ho cominciato a studiare. A saper riconoscere in modo più opportuno gli alberi e le differenze che hanno, la loro età, il loro peso quando vengono tagliati. La gestione dei tronchi e delle ramaglie… Mi sono dedicata a imparare ad utilizzare una piccola motosega, rendendomi conto che poche ne esistono che possono tenere conto della reale forza delle donne.
La cultura non mi fa difetto. Imparo facilmente. Applicare la cultura alla realtà, come richiede costantemente la cura della terra, nei suoi vari aspetti è un’esperienza molto utile che aiuta a estendere il metodo anche a tutte le altre forme di vita quotidiana e d’interazione sociale.