Claudio Ferri
BOLOGNA – Il rincaro delle materie prime è una scure che si abbatte anche sugli orticoltori. L’effetto post pandemia coinvolge in modo trasversale il settore primario, senza eccezioni, “e non riusciremo mai a riversare parte di questi costi sul consumatore finale, un aggravio che dovremo sobbarcarci, nostro malgrado”. Parla Marco Tagliavini che, con il fratello Loris, conduce l’azienda omonima alle porte di Bologna.
È la prima impresa che si incontra uscendo da Bologna fiere, dopo l’autostrada in direzione nord.
“Imballaggi, plastica e gasolio, solo per citarne alcune, sono le materie prime che andranno a gravare sui costi produttivi delle colture – aggiunge Tagliavini -, in un’ annata che non ha premiato sul piano delle quotazioni. L’orticoltore coltiva complessivamente 48 ettari, di cui 23 con ortive coltivate a pieno campo, un ettaro e mezzo in coltura protetta e la rimanente parte viene investita con essenze per effettuare il sovescio e consentire il necessario avvicendamento.
“Per lasciare riposare il terreno e, soprattutto, per assicurare sostanza organica – dice –, una pratica indispensabile per ottenere ortaggi di qualità e rispettare i disciplinari rigidi richiesti dalla grande distribuzione”. Nel conto delle superfici coltivate vanno inoltre aggiunti altri 4 ettari di seminativo già certificati biologici.
Mediamente il raccolto si attesta sugli 800 quintali l’anno, composto prevalentemente di verdure a foglia: la referenza principale è la lattuga gentilina, poi la trocadero, e l’iceberg, oltre che numerose varietà di prezzemolo e bietole da coste.
“È una gamma limitata perché siamo consorziati con Agribologna – spiega Tagliavini – che nella propria organizzazione richiede dai produttori una forte specializzazione: noi ci siamo orientati su queste colture. Il Consorzio provvede poi alla commercializzazione”.
La raccolta di ogni tipo di rifiuto è un’onerosa pratica dei produttori adiacenti alle strade. Tagliavini: “un problema in più che si aggiunge all’aumento dei costi di produzione”
Tra ortaggi in serra e a pieno campo l’azienda coltiva praticamente 11 mesi l’anno, periodo in cui lavorano una decina di persone, tra famigliari (i fratelli, i figli e la moglie) e collaboratori.
“Non abbiamo fatto la scelta di vendere direttamente in azienda, per il momento – aggiunge -, nonostante che i nostri locali siano già predisposti e attrezzati per farlo. Ho creato una ‘via di fuga’ e, se assistiamo ad una caduta dei prezzi, potremo limitare le produzioni e, contestualmente, impegnare il personale nella filiera corta valorizzando le produzioni e orientandoci verso il consumatore finale.
Al momento, non riusciamo perché rischiamo di perdere ‘forza vendita’ nella filiera in cui siamo tutt’ora inseriti. Se il mercato continua a non remunerare, dovremo cambiare strategia, anche se è per noi una piccola forzatura. D’altra parte – prosegue Tagliavini -, la Grande distribuzione continua a comprimere le quotazioni e, di conseguenza, si assottigliano i nostri ricavi a fronte di un’impennata dei costi”.
L’azienda ha investito risorse nella certificazione dei processi produttivi, un passo necessario per essere competitivi e porsi come fornitori di negozi e supermercati.
“Tutte le aziende che fanno parte di Agribologna hanno questi requisiti – osserva ancora l’orticoltore –, e sono certificate Global Gap (che definisce le buone pratiche agricole, Good Agricultural Practice, ndr), un documento obbligatorio per chi fornisce le catene distributive”.
I produttori che coltivano nella cintura bolognese devono convivere con frequenti episodi di incivismo, primo tra tutti l’abbandono dei rifiuti ai margini delle strade.
“Tutto ciò che i cittadini buttano ai lati della strada come plastica, lattine, carta e, sempre più spesso, sacchi con la spazzatura – rileva Tagliavini – si riversa nelle aree adiacenti ai nostri campi dove produciamo e che, puntualmente, dobbiamo raccogliere. Inoltre, le aree verdi comunali a ridosso degli appezzamenti, come alberi e siepi, spesso si ‘dilatano’ sui nostri raccolti: anche in questo caso siamo noi a dover rimuovere rami e detriti vegetali. Poi – conclude –, gli sfalci delle banchine intoppano le chiaviche che, in mancanza di manutenzione, non svolgono la loro funzione e dopo ogni acquazzone l’acqua si riversa nei campi trascinando rifiuti di ogni genere”.