Claudio Ferri
Il conflitto in Ucraina genera ripercussioni negative nell’export dei vini, specialmente verso mercati, come la Russia, propensi all’acquisto di produzioni made in Italy. Se la guerra in quelle aree determina una contrazione degli acquisti, la situazione di instabilità, in generale non aiuta gli scambi, anche con altri Paesi europei.
È il giudizio di Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, nel ricordare che il vino rappresenta momenti di convivialità e lo si consuma quando c’è un clima sereno, di benessere generale.
“È difficile ipotizzare e quantificare le conseguenze del conflitto in Ucraina – commenta Cotarella -, sta di fatto, che ci sono migliaia di casse di bottiglie di vino ‘bloccate’ nelle cantine italiane, pronte per essere spedite in Russia. È un grande punto interrogativo. Poi ci sono i crediti delle aziende vinicole: c’è in timore che non vengano onorati e, soprattutto, l’incertezza della ‘moneta’ con cui verranno saldati. Se i rubli valgono poco, come adesso, sarebbe un danno gravissimo”.
Ci sono aree in cui cresce da domanda di vino italiano e dove, invece, c’è una contrazione?
Abbiamo avuto un fine 2021 fantastico, da aprile a dicembre, con incrementi a due cifre che ci faceva ben sperare. Attualmente, i primi due mesi dell’anno in corso evidenziano un rallentamento. Senza questo evento bellico le prospettive erano positive.
Non è solo in Russia, ma anche in altri Paesi, come Germania e Gran Bretagna la preoccupazione è alta e non può che determinare ripercussione sulla vendita di vino. Speriamo di riprenderci e ripetere l’ottima performance del 2021.
Quali sono le nuove tendenze nella scelta dei vini, ovvero sta cambiando l’approccio al vino? Che segnali ci sono?
Nel vino l’interesse non scende mai, anzi, è in aumento. Crescono gli appassionati, addirittura anche gli astemi riversano il loro interesse nella conoscenza del vino. Insomma, coinvolge in termini di cultura e di storia ciò che c’è dietro ad una bottiglia, incuriosisce la scoperta di vitigni ‘minori’ e viene apprezzato il lavoro che svolgono gli enologi: se lavoriamo bene abbiamo un potenziale di grande biodiversità.
Tante regioni, del Sud e del Nord, dedicano poi più tempo alla spumantizzazione dei vitigni autoctoni, basti ricordare, ad esempio, il Negramaro in Puglia, il Pecorino d’Abruzzo. C’e voglia di dimostrare che la biodiversità italiana è un grande valore aggiunto, un simbolo. Poi, il vino non è una moda, si evolve continuamente, e in questo processo il consumatore coglie le novità del cambiamento.
I frizzanti conquistano sempre più spazio?
Si, tant’è che la spumantizzazione si fa anche in zone come la Campania con la Falanghina, ad esempio, ma anche con il Verdicchio: c’è grande potenzialità di produzione e consumo, sia con il metodo Classico che con il Martinotti.
Con il clima che cambia e le temperature elevate la viticoltura è in pericolo?
La produzione in sé no, diciamo che ci sono zone che soffrono di più e altre meno. Ci sono tanti vini italiani che, al contrario, hanno avuto benefici con temperature più calde, se contenute entro certi limiti.
Le uve indigene, come ad esempio il Nebbiolo, Sangiovese, Montepulciano, Negramaro, in passato spesso non raggiungevano una maturazione soddisfacente a causa di nebbie e piogge che ne compromettevano lo stato di salute e si vendemmiava ad ottobre e novembre. Adesso, si anticipa la raccolta, anche se dobbiamo adottare accorgimenti diversi con sistemi di allevamento che garantiscono la copertura fogliare. Accorgimenti nelle lavorazioni e gestione del ’verde’, prontezza di intervento di noi enologi nel vigneto, fanno sì che, al momento, molti vini hanno tratto vantaggio. Il problema ora è la siccità e occorre garantire l’approvvigionamento idrico.
Vitigni resistenti cosiddetti ‘piwi’, e di conseguenza, il vino: a che punto siamo?
È una grande scoperta, ma siamo ancora lontani dal perfezionamento e dall’ottenimento di risultati entusiasmanti, anche dal punto di vista delle qualità organolettiche. Si tratta di migliorare con la ricerca, ma sarà un passaggio obbligato per diminuire i trattamenti fitosanitari alla vite al fine di assicurare la sostenibilità. Se non interveniamo con vitigni resistenti corriamo il rischio di generare assuefazione delle viti.