Erika Angelini
FERRARA – Sono circa 210mila gli ettari investiti a riso a livello nazionale nel 2023, in leggera flessione rispetto ai poco più 218mila del 2022 e i 227mila del 2021. Nel ferrarese, invece, il dato è in controtendenza e registra un leggero aumento, passando dai 4.061 dell’anno scorso ai 4.500 di quest’anno, ma parliamo comunque di superfici che non sono tornate alla media dei cinque anni precedenti, vicina ai 6mila ettari. (Fonti Istat ed Ente nazionale risi).
I dati 2023 sono comunque ancora stime perché, come spiega Stefano Leonardi, responsabile tecnico dell’Ente Risi per l’areale ferrarese: “La raccolta dei dati di semina che l’Ente effettua ogni anno si sta prolungando, così come si è prolungato il periodo di semina a causa delle incertezze climatiche di maggio. Ci sono state semine tardive nell’areale piemontese-lombardo dove, fino a fine aprile, vi era molta incertezza sulle superfici perché c’era il timore di rivivere la situazione climatica siccitosa del 2022. Poi le piogge abbondanti di maggio che hanno riempito i laghi hanno fatto letteralmente tornare le aziende risicole sui propri passi e, in alcuni casi, si è destinato l’orzo a trinciato per poi seminare il riso. In generale c’è stato un ritardo di 15-20 giorni anche nelle aziende ferraresi che avevano già deciso di investire a riso, sempre a causa delle difficoltà legate al maltempo primaverile.
In leggero aumento le superfici nel ferrarese, situazione incerta
a livello nazionale
Questo ritardo – continua Leonardi – ha avuto un lato sicuramente positivo perché chi ha seminato a inizio giugno ha potuto avvalersi di una sorta di falsa semina, riuscendo ad avvantaggiarsi con una migliore pulizia del terreno da infestanti. D’altra parte, la semina tardiva ha comunque dei rischi perché si arriva a raccogliere il riso in pieno autunno, con meteo sempre più incerto in quel periodo che potrebbe influenzare negativamente il livello della qualità ed aumentare i costi di produzione dei risoni. Speriamo, dunque, in un autunno asciutto e mite come l’anno scorso e vediamo come procederà la fase vegetativa dei risi: al momento le risaie sembrano belle e quindi restiamo ottimisti”.
“A livello varietale – spiega il tecnico dell’Ente Risi – sono in aumento le varietà da interno come Arborio e Carnaroli, un trend prevedibile visti i prezzi di mercato registrati lo scorso inverno con quotazioni che hanno toccato i 135/140 euro/q per il Carnaroli e i 110 euro per l’Arborio. Purtroppo in queste settimane le quotazioni sono scese molto, fino al 35-40% in meno, passando a 75-80 euro per il Carnaroli e 70 per l’Arborio. Prezzi che certamente non soddisfano gli agricoltori abituati ormai, come d’altra parte è accaduto per le produzioni cerealicole, a quotazioni che possiamo definire straordinarie perché alterate, per fortuna in positivo, da condizioni economiche e geopolitiche particolari.
A pesare sul prezzo del riso all’origine è anche la richiesta in calo per la costante contrazione dei consumi, soprattutto dopo i due anni di Covid in cui c’era stata, invece una forte impennata. Il riso sugli scaffali, inoltre, ha un prezzo superiore, al momento, della pasta e non sempre rientra nelle politiche di marketing di “Prezzo bloccato” che attua la Grande distribuzione. Occorre inoltre considerare che il potere d’acquisto delle famiglie è eroso dall’inflazione e magari optano per prodotti maggiormente low-cost piuttosto che per il risotto tanto amato durante la pandemia. Ripeto però: ci eravamo abituati a volumi di vendite anch’essi straordinari come i prezzi e quella che sembra ora una forte contrazione generale deve essere più che altro vista come un ritorno alla “normalità”.
Che poi – conclude Leonardi – si tratti di una normalità che penalizza il primario questo è altrettanto vero e speriamo che quest’anno la produzione si soddisfacente da tutti i punti di vista e si possa tornare a quotazioni che favoriscono le aziende agricole, senza pesare sul costo del riso al consumatore finale”.