Terreni sommersi, come fare per ripristinare suolo e colture

ALLUVIONE

Gianfranco Pradolesi, responsabile Ricerca e Sviluppo Terremerse

Dopo le piogge con le alluvioni di maggio che hanno interessato i territori della Romagna e parte dell’Emilia, gli agricoltori coinvolti, loro malgrado, si trovano di fronte a situazioni relativamente nuove dove gli allagamenti hanno lasciato sul terreno detriti e limo, oltre a creare problemi alle colture arboree per lungo tempo rimaste sommerse.

Dopo questo evento i produttori si trovano di fronte a situazioni che è possibile distinguere in più: terreni interessati solo da intense piogge; terreni sommersi da acqua con o senza leggero strato di fango (< 1 cm); terreni sommersi da acqua e fango (> 2 cm). Per quanto concerne il primo caso non sono necessarie lavorazioni particolari, anzi possiamo affermare che i diversi suoli hanno assorbito l’acqua, addirittura dimostrandosi talvolta già sgrondati dopo qualche tempo.

Per i terreni sommersi principalmente da sola acqua, con relativo leggero deposito di fango possiamo distinguere due differenti situazioni, anche in funzione della coltura interessata:

  • il livello dell’acqua ha coperto completamente per più giorni tutta la coltura (soprattutto colture arabili) senza possibilità di respirare;
  • copertura parziale dell’altezza della coltura, sempre per più giorni, con possibilità anche solo parziale di respirazione fogliare.

Nella prima circostanza, nella maggioranza dei casi abbiamo dei danni elevati, con anche la perdita completa della coltivazione. Su colture estensive è utile far sgrondare l’acqua e prevedere una lavorazione minima prima di seminare una coltura in secondo raccolto. Naturalmente è fondamentale eseguire qualsiasi lavorazione solo quando il suolo è ad uno stato di tempera.

Consigli tecnici per intervenire nei campi, a seconda della gravità delle situazioni e delle diverse coltivazioni

Nel caso di copertura parziale si è osservato livelli di danni variabili in funzione della coltura: possiamo avere situazioni senza particolari danni, vedi mais o girasole, danni diversificati su frumento anche in funzione della varietà, fino a danni molto gravi su alcune colture da seme, come barbabietola e ravanello. In tal caso è consigliabile valutare la situazione per definire se distruggere completamente la coltura, eseguire una lavorazione superficiale per una seconda coltura da seminare o continuare con la coltivazione già impiantata. Nel caso di colture arboree non si sono riscontrati gravi danni, anche su drupacee e nocciolo, solitamente molto sensibili al ristagno idrico. Anche in tal caso, dove è possibile, è consigliabile arieggiare il terreno, anche per timore di attacchi fungini terricoli.

Su pesco e altre drupacee si può considerare di lavorare leggermente il sottofila, in considerazione dell’approfondimento dell’apparato radicale, mentre su pomacee, in particolare melo (diverso il pero su franco) e actinidia è meglio evitare lavorazioni al fine di preservare l’apparato radicale senza rottura di capillizzi che potrebbero determinare ulteriori stress alle piante.
Sulla fila può essere utile l’impiego di scalza-rincalzatori. Dove non è possibile smuore il suolo sotto la fila si dovrà lavorare leggermente sull’interfila con ripuntatore o simile.

In caso di presenza di fango su colture estensive o orticole spesso le produzioni sono state compromesse, tranne che non sia stato interessato il campo solo parzialmente. Quindi in caso di distruzione della coltura o terreno vuoto, in funzione dello strato di fango si dovrà procedere con delle lavorazioni più o meno profonde per inglobare il fango nel suolo.
Se parliamo di uno strato leggero (< 10 cm) si potrà procedere con lavorazioni tradizionali. Se lo stato è attorno i 20 cm bisognerà arare a circa 40 cm. Se lo strato è superiore e non è conveniente la sua rimozione è fondamentale eseguire più passaggi per inglobare con equilibrio il fango nel suolo. Inoltre in tutti i casi è utile apportare sostanza organica e ammendanti per riattivare la fertilità del suolo.
Se invece il fango non ha danneggiato la coltura in atto è necessario, appena in tempera, sarchiare o intervenire in altro modo per rompere la crosta così da consentire agli strati più profondi di asciugarsi e arricchirsi di ossigeno.

Naturalmente è anche utile sostenere la coltura con interventi fogliari a base di azoto, potassio, biostimolanti, ecc.
Nel caso di impianti arborei, la permanenza di elevati strati di fango indisturbati rappresenta il pericolo maggiore, poiché non consente l’arieggiamento e la perdita di acqua del suolo sottostante. In tal caso è fondamentale liberare dal deposito il sottofila spostando il materiale nell’interfila con piccoli erpici o aratrini, senza andare troppo in profondità per non danneggiare le radici, in particolare su melo e actinidia.

Nell’interfila è utile nell’immediato eseguire delle lavorazioni ripetute, superficiali, con erpici che permettano la rottura dello strato superficiale e favorire l’iniziale asciugatura del suolo. Successivamente si può approfondire la lavorazione con organi fissi (non rotativi).

In generale è utile in tutti casi ristabilire la fertilità del suolo. A tal proposito dove la coltura è compromessa e le condizioni non consentono la sostituzione con altra coltura, è consigliabile l’utilizzo di cover crops e sovesci prima di ulteriori semine o reimpianti.
Anche negli impianti arborei in cui il cotico erboso interfilare è compromesso si può ricorrere a cover crops. Inoltre può essere molto utile ricorrere a fertilizzanti ricchi in microrganismi (Bacillus spp., Trichoderma spp., micorrize, ecc.) per ristabilire una buona flora microibica e contrastare l’insediamento di funghi e batteri dannosi, che spesso trovano nei suoli asfittici le condizioni per pullulare.

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