Mini storia inaspettata del finocchio, pregevole ortaggio. Sgombriamo subito il campo da battutacce sessual-razziste, tipiche di persone “di bassa lega” (intendendo per bassa lega un metallo ottenuto dalla fusione di componenti scadenti). La parola finocchio deriva dal latino “feniculum”, diminutivo composto da “fenum”(fieno) e “oculum” (occhio).
Perché? Gli antichi consideravano il finocchio ortaggio salubre e utile alla vista. E occhio: questa credenza permane nella tradizione cristiana; il finocchio era pianta sacra a Santa Lucia, protettrice della vista. Da qui, tra le valenze del finocchio, secondo la tradizione popolare, anche quella d’essere antidoto al malocchio (forza malefica che la superstizione attribuiva allo sguardo cattivo di certe persone). Oltre al finocchio c’era anche il prezzemolo (jolly multiuso tra le erbe aromatiche) nelle pozioni beneauguranti. E dunque, “occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”, che è anche il titolo d’un buffo film a episodi (del 1983, ma ogni tanto ripassa in tv) con Lino Banfi, Johnny Dorelli e stelline sexy di allora: un mago da strapazzo ne combina di tutti i colori, ma solo per ridere. Quanto alla parola “infinocchiare” (termine ancora oggi in auge su vari versanti, anche politici), pure in questo caso non c’entrano tanto gusti sessuali quanto la pratica antica di taluni osti furbacchioni.
Questi osti, consapevoli dei difetti del loro vino, “intortavano” i clienti offrendo loro “stuzzichini” a base di semi di finocchio selvatico il cui effluvio addormentava il palato, coprendo le magagne del vino. Infine, a proposito di moderni “stuzzichini”.
Insieme a Tugnazz abbiamo recentemente pagato un po’ troppo due calici di vino in un’osteria romagnola. Alle nostre vivaci perplessità l’oste rispose: ”ma vi ho offerto anche i “tacos” spagnoli”. “Tacos dei miei cojones”: ha tuonato Tugnazz, tra gli applausi degli altri avventori.
ll Passator Cortese